lunedì 29 dicembre 2014

Clermont, Napoli e la grazia.



Quella mattina di Agosto Napoli era ardente. Un caldo infernale avvolgeva ogni cosa e, tra le tante, avvolgeva anche me.
Dormii bene durante la notte, avvertivo una pacata adrenalina senza troppi sussulti: la verità è che mi sarei reso conto della partenza a due passi dall’aereo.
Quella mattina mia nonna era emozionata e trattenne con tanta difficoltà le lacrime, mia madre pure.
Ricordo i giorni prima della partenza come momenti di grazia assoluta e cristallina, di gioia e serenità; giornate intere trascorse con gli amici di sempre: mi sentivo amato.
In volo scrissi tanto. La moleskine che mi avevano regalato mi sarebbe stata compagna fedele nei primi quattro mesi della mia permanenza in Francia.
Dopo quattro ore dall’atterraggio a Parigi arrivammo a Clermont. Conservo ancora il ricordo dell’atmosfera ovattata e surreale da cui fummo accolti, i fiori di place Gaillard e il caffè terribile che bevvi nel primo bar a portata di mano per poter svuotare la vescica alla toilette.
Dopo mille tentativi al numero sbagliato, riuscimmo a contattare i nostri salvatori.
Ludo, Cecile e Charline arrivarono nella piazza con due piccole macchine, da una di queste spuntava la testa di un cane bellissimo, un leone di nome Iago.
Sbarcammo a casa di Flora la sera del 28 Agosto stanchi e affamati, tutto ci era estraneo, tutto ci sembrava minaccioso ma insieme dolce. Dal balcone del suo salone vidi per la prima volta, quella sera, i pinnacoli della cattedrale di Clermont. Mangiammo un piatto di pasta al ketchup e parmigiano: la migliore accoglienza per due studenti partenopei in Erasmus.
Seguirono giorni surreali, giorni di prime volte assolute; il timore di non trovare una casa e la gioia inesprimibile della prima pizza cotta nel forno, il primo bottellon sotto l’effige severa di Vercingetorige a place de Jaude, i primi spagnoli e le prime birre dello Still, le prime parole in francese: come si pronuncia? Ah bouuuuuré? Ma con l’accento? Santé! Oh, mon Dieu je suis pompette! Mamma, qui è tutto diverso, ci sono fiori ovunque e la città è pulita! Quando ti possiamo venire a trovare?
E poi la coinquilina francese e la ratatouille e i corsi all’Università da restare a bocca aperta e le crepes salate e Lione e Parigi.
Porto nel cuore la faccia bizzarra di Ion, i drink di Lola e Ines, la bontà di Jonathan, l’incomprensibile slang delle Irlandesi e la follia delle Inglesi, il riserbo dei Cechi e l’affascinante concezione del mondo tutta tipica del popolo francese.
Prima di partire scrissi e mi ripromisi di conservare ogni notte, al caldo del mio cuscino, le chiavi dei cassetti che custodiscono gli infiniti universi di cui la mia vita in Italia è padrona; l’ho fatto ogni sera, con tenacia e tenerezza, accarezzando i ricordi e le passioni che mi legano a questa terra e ai miei affetti più cari, amandoli ogni giorno di più.

giovedì 20 novembre 2014

Par hasard.



Ma vie est un ensemble de choses arrivées par hasard.
Mais souvent, dans l’hasard, j’ai retrouvée l’ordre qui j’étais en train de chercher.
Par hasard j’ai choisi Clermont et la France, cependant aujourd’hui je remercie le Ciel pour ce pensée audacieux : sans lui je n’aurais jamais découvert mille nouveaux horizons, mille nouvelles vies.
Moi, je sais que le monde meilleur est en face de moi, dans les yeux un peu fatiguées pour la soirée d’hier, dans le mots excités pour le dernier voyage en ce pays incroyable.
Vents et marées traversent notre temps; quelqu’un a dit que l’Europe n’existe pas parce que aucun citoyen d’Europe ne se sent européen, mais ici  je n’ai jamais vu frontières dans nos étreintes pendant la nuit, quand l’aube est proche et nous avons partagé, pendant des heures entières, les mêmes lunes.  
On se demande toujours  comment nos histoires vont finir: pour maintenant peu m’importe.
Je suis ici, heureux.

lunedì 6 ottobre 2014

No, non rimpiango nulla!

Non, je ne regrette rien!
E’ notte a Lione, intorno non vedo che ponti, il Reno ci è compagno e il vino non è da meno.
Non rimpiango nulla, nulla di nulla: bastano pochi giorni per capire che questa Europa è troppo bella e che la nostra gente non cerca che amore.
Una manciata di mesi fa lo avrei creduto impossibile, eppure sono qua, col mio computer preistorico sulle gambe, nella mia, nella nostra casa di Clermont-Ferrand.
Qua fuori c’è una generazione sfacciatamente gioiosa e dolce, centinaia di ventenni da ogni pizzo d’Europa in una terra che, ci crediate o no, è tra le più accoglienti che io abbia mai visitato.
Ognuno con un’idea, mille idee, sulle cose di questo nostro tempo: un tempo meraviglioso.
Come Edith, je repars à zéro!
Riparto da zero ogni volta che arrivo a Place de Jaude e scopro ogni sera nuove Americhe, io che pensavo che l’Asia fosse tutto. Incontro davanti alla birra gelata dello Still infiniti souvenir che si confondono e ci abbracciano e non esistono buoni motivi per non festeggiarli con un altro brindisi: santé!
Alla salute! Alla nostra!                      
Rischiavo di rimanere lì, incollato a quel tutto che tutto non era. Come m’ha scritto un amico: non credete a chi vi dice che il coraggio lo ha chi resta; il coraggio lo anche chi decide di partire, che sia per un mese o una vita, questi ha accettato una sfida che ai più pare insormontabile: ripartire da zero, ogni secondo, disarmati o male armati, davanti a una vita scovata quasi per caso dentro un petto pieno di sentimenti inaspettati e una testa colma di parole sconosciute.

Posso urlarlo: no, io non rimpiango nulla!

mercoledì 27 agosto 2014

A presto!

Nato e vissuto qui, in questo paese di provincia che è una dimensione dell'animo. Vissuto in mille barriere e troppi orizzonti: per fortuna rinato cento volte e cento altre ancora.
Ora sono qui, con una vita nuova lunga un anno rinchiusa in una valigia troppo piccola. Sono qui, io ed io soltanto, con un sogno tra le dita e mille timori nelle tasche.
Me ne vado, ma poi torno. Torno a casa perché senza casa da lasciarsi alle spalle nessuna partenza ha veramente senso.
I pensieri rotolano sui quattro carboni ardenti che, me dannatissimo, non riesco a buttare nel lago lontano; rotolano e si affastellano come pietre di fiume per la troppa corrente.
Grazie a tutti e ciascuno per quello che sono e che mai avrei pensato di saper essere.
Lascio in questi cassetti universi che non trovano pace.
Non butto le chiavi: le conserverò di notte, ogni notte, al caldo del mio cuscino.
A presto.

mercoledì 20 agosto 2014

Vibrazioni di viaggio.

Al viaggio, ai miei compagni di viaggio



La stazione di notte riserva vite sconosciute a chi la frequenta solo di giorno.
Di notte il mondo diurno cede ogni spazio a universi segreti.
Seduto sull'asfalto del primo binario: intorno tutto è silente. Nessun treno in partenza, la stazione è fantasma.
Fantasma come il sentimento della certezza che, piuma leggera, volteggia nelle tempie.
Il viaggiatore è un grumo, con le sue quattro cose e una casa che nasce dal nulla.
Serena è la vita. Vita di tenda e condivisione.
Qui nessuno è solo; sono come l'abitante del faro tra le sue onde mai paghe di scrosci.
Sono vivo in città non mie che offrono dimora come l'oste di notte quando intorno nulla mugugna, mentre l'ultimo bavarese sorseggia una birra e il bambino sognante calcia un pallone.
Viaggiare è l'atto più estremo, conduce ad interrogatori inarrestabili bramosi di risposte inferme e bugiarde.
È notte in Olanda.
Conosco un viandante che s'innamora del mondo e sazio d'amore vaga verso l'orizzonte dipinto.
Non parole, donate silenzio a chi s'innamora del mondo.

5 Agosto, Olanda



Nel primo Agosto un treno da Berlino a Praga.
I binari d'argento e il cielo di spuma. Poi verde e dorato. Il sole nella carrozza semideserta, l'odore delle poltrone e le tende chiuse a metà.
Estate e giovinezza.
Alle spalle c'è Alexanderplatz e il suo vento nodoso, per qui passa l'uomo che non muore.
Berlino non piange mai.
Ho camminato per strade graffiate da unghie orgogliose.
Berlino è brutta, brutta e incantevole. Come una donna sinuosa e lurida, ubriaca e amabile. La puzza di piscio nelle narici e i colori del muro nelle pupille.
Berlino non concede carezze; non troverai fiori a Berlino.
Puzza di fumo nella carrozza, a Dresda un viaggiatore sta scalzo sulla banchina e cerca ristoro in una sigaretta che brucia in fretta.
In tre o quattro volute si consuma la sosta e riparte la tregua.
Tregua dai mille timori del giorno ordinario di cui sono oggi dimentico.
Due torri di pietra cingono una chiesa e nella testa gli zingari e Sally.
Accovacciati, come un solo passeggero, viaggiamo aggrappati al finestrino che racconta storie sempre nuove.
Ci innamoriamo di tutto: della prima casa all'orizzonte, del bosco ignoto e della strada solitaria; quando il cielo si fa di fieno e le case di binario si concedono senza remore, iniziamo a rubare.
Come un pittore davanti alla tela, io e il mio taccuino siamo un groviglio di vibrazioni che la penna non afferra.

11 Agosto, Germania



Non bora, ma vento: dolce e carezzevole. Steso nei miei vent'anni alla luce di un lampione, nell'abbraccio di Trieste.
Il viaggio se ne va sotto la punta delle dita e il pensiero di questi giorni si fa proteggere dalla chioma dell'albero che mi sovrasta.
È notte nella piazza della stazione.
Un cappuccio a coprire il capo e un avventore sconosciuto in cerca di una sigaretta.
Mezza estate volata via in soffio che solletica l'inarrestabile sentimento di precarietà e amore.

15 Agosto, Italia

martedì 22 luglio 2014

Un pescatore.

Mari non combattuti accarezzano la chiglia del pescatore,
alla rete non piena
s'incagliano orizzonti sereni.
Le mani sfiancate e cineree abbracciano il legno compagno
e si contentano dei frutti d'argento pur scarsi.
È felice il pescatore.

Mari di piombo percuotono
come laccio di frusta su carne fanciulla.
A nodo a nodo il palmo batte il braccio vetusto:
nella tempesta cerca ristoro.
Incessante
il dito inquieto
sussurra alla chiglia contesa
menata per torto e traverso.
Le onde ingorde non concederanno pane all'alba.
È triste il pescatore.

Poi da nube a sereno,
il primo raggio infuoca l'acqua ora sincera
quando il molo accoglie l'arnese sbilenco.

Le pupille assonnate piangono lacrime gravi.

Il legno compagno le accoglie e
fraterno
consola il superstite.
Alla dimora l'uomo di mare volge il passo leggero.

È felice il pescatore.
Il legno antico gli sarà sempre compagno.

mercoledì 4 giugno 2014

Diario di un Interrailer: da Amsterdam a Parigi.


Frammento di una pagina della Moleskine che mi ha assistito in Interrail. Il rimestarsi dei pensieri, agevolato da sciagurate conversazioni, me ne ha suggerito la pubblicazione.


Alle tre di questa notte abbiamo lasciato Amsterdam alla volta di Parigi.
Sono le 13:00 e siamo al sesto cambio per la capitale.
Nei miei pensieri si fa sempre più salda la convinzione che tanto altro da Amsterdam sarebbe potuto venire.
Nel cuore si cristallizza il sentimento di una città incompleta che, ad ogni passo, tende le braccia a chi passa per essa, sentendosi compiuta a metà.
Amsterdam esiste per Amsterdam.
Qui, quello che vive fuori dalla mia mente si fonde alle mille capriole dei cento pensieri, accartocciati e stralunati, che mi navigano il sangue, quando solo pochi centimetri separano le suole dall’acqua increspata del canale.
Adesso però ci controllano i biglietti e la lingua dell’inquisitore mi suggerisce nuove esperienze.


Verso la Stazione di Amiens,
sei Agosto 2013.


Ndr. Questo è stato il nostro percorso: Napoli, Bologna, Innsbruk, Monaco di Baviera, Amsterdam, Utrecht, Lille, Parigi, Menton.



lunedì 26 maggio 2014

Un mandato straordinario al PD e all'Italia.

E ora?
Il Partito Democratico è volato oltre la vetta del 40%, più che un risultato elettorale questo si configura come un vero e proprio mandato popolare. Per mutuare una terminologia giuridica, un mandato di ottimizzazione all'Italia quale stato fondatore dell'Europa unita, che impone al centrosinistra e al Governo di agire al massimo delle proprie possibilità.
Per vero, le prospettive d'analisi sono due: quella nostrana e quella europea.

La prima vede il PD centrare un risultato storico dalla nascita della Repubblica ad oggi: mai un partito riformista e progressista aveva sfiorato simili percentuali, godendo tra l'altro di un bacino elettorale così ampio. Oltretutto l'esito delle Europee sanziona i Democratici in via definitiva quale forza supermaggioritaria e di Governo, traguardo impensabile, checché se ne dica, dopo decenni di conventio ad excludendum. Queste considerazioni sono amplificate se si considera che la percentuale de quo è espressione della forza elettorale di un solo partito e non di una coalizione. 
Ciò avrebbe significato, in costanza di elezioni politiche nazionali, la certa formazione (uso un'espressione odiosa) di un governo monocolore PD. 
Ripeto: mai nella storia della Repubblica.
Ciò incarica il centrosinistra di un mandato trasversale che attinge a piene mani da tutte le categorie sociali, geograficamente ovunque collocate.

Queste considerazioni si fanno quasi trascurabili se si legge la portata del risultato italiano in Europa.
Escluse Malta e Lettonia (dove Laburisti e Popolari raggiungono rispettivamente il 53% e il 46%) che, con il dovuto rispetto, hanno un peso specifico neppure paragonabile a quello Italiano, il PD è il primo partito dell'Unione percentualmente e, in termini di elettori nominali, il primo in assoluto.
Il secondo dato da considerare è l'indiscutibile affermazione delle forze centrifughe, cosiddette euroscettiche. Affermazione consumatasi non solo nel sui generis Regno Unito ma soprattutto nella eurofondatrice Francia. Che significa tutto ciò?
Significa che l'Italia ha una responsabilità enorme.
Paradossalmente il Paese che aveva destato le maggiori preoccupazioni per la stabilità dell'Unione ne diventa il baricentro politico, insieme (paradosso nel paradosso) alla Germania di Angela Merkel, dove l'europeista Cdu si piazza molto bene.
 Il PD di Matteo Renzi ha dato un contributo cruciale in termini di seggi alla, quasi certa, formazione di una grande coalizione e ciò gli conferisce un potere contrattuale spendibile su una molteplicità di fronti.
Spetta ora all'Italia, profittando del semestre di presidenza, trainare l'Unione verso un porto sicuro da cui ripartire insieme alle grandi forze europeiste. Diversamente i facili vitelli d'oro portati in trionfo dai populismi rischiano di annebbiarci la vista e impedirci il cammino.

Un'ultima parola su Matteo Renzi segretario di partito.
Da renziscettico, scusate il neologismo, non posso non riconoscerne il merito già storico. È stato capace di ristrutturare e rendere finalmente fruibile il centrosinistra italiano, attendendo alle ambizioni per cui esso nacque nel non lontano 2007 (chi asserisce il contrario sa di mentire).
Per questo e per mille altri motivi di cui non parlerò, chapeau!


domenica 25 maggio 2014

Riflessioni sull'Europa.

“La piccolezza dell’Europa è figlia della sua grandezza storica”
E’ questo il conciso esordio de “La nostra Europa” scritto dal formidabile Edgar Morin che, in maniera asciutta e agilissima, cavalca le vicende e tratteggia le sorti del vecchio continente.
Fonte di molte riflessioni, ha ispirato non pochi dei pensieri che seguono.

Gli strepiti di questa campagna elettorale sono stati assordanti, gli insulti altisonanti e i ragionamenti sull’Unione non si sono certo distinti per profondità d’analisi.
La verità è che, fatta salva la pace di qualcuno, la confidenza con le cose d’Europa è davvero minima e con l’avvento degli anni 10 la produzione di un pensiero strutturato si è fatta carente, lasciando a pochi sedicenti esperti la possibilità di veicolare contributi con i piedi d’argilla.

La riflessione che la giornata di silenzio elettorale agevola deve permetterci di rispondere a due domande:
da dove veniamo e dove vogliamo andare. Sarebbe preferibile chiedersi dove possiamo andare ma è meglio soprassedere.

Veniamo da un Europa che è sempre più terra di provincia, confinata alla periferia della storia, stretta tra tre blocchi: gli USA, la potenza russa e le aree economico-politiche emergenti (per vero non più così emergenti come, per confortarsi, si usa dire).
Il peso specifico del vecchio continente sul piano demografico, energetico e militare si assottiglia impietosamente; l’Unione gode di un mercato unico al suo interno ma non di un unico mercato al suo esterno; le molteplici forme di concertazione e politica e giuridica ne frammentano la voce, rendendo impossibile all’interlocutore, per usare una metafora, percepire parole di vera sintesi.
Il punto è che in queste condizioni, o si completa l’Europa o si muore.
La tenaglia che stringe l’Unione è asfissiante e il maggiore rischio per la medesima è quello di una condanna all’irrilevanza. Per fare un esempio tangibile e assai di moda: tra quindici anni non uno dei paesi europei che siedono nel G8 oggi potrebbe sedervi ancora, neppure la Germania. Se invece ammettessimo, cum grano salis, che i ventotto si facessero Nazione o, come suggerisce qualcuno, meta-nazione il potere contrattuale diverrebbe enorme.
Eppure, ancora in questa campagna elettorale gli slogan più in voga di ogni parte politica invocavano una difesa a ranghi serrati della primazia nazionale declinata nella molteplicità dei suoi ambiti di esplicazione.
La domanda è spontanea: andando per questa via davvero pensiamo di arrivare lontano?
Solo l’uscita dagli sterili nazionalismi può consentire all’Unione di giocare un ruolo attivo e consapevole nei processi della nuova globalizzazione.
Diversamente, riuscite ad immaginare un tavolo negoziale a cui siedono il Ministro dello Sviluppo economico italiano e il suo omologo cinese, impegnati a concludere trattative per un sistema di import-export vantaggioso sia per il Bel Paese che per la grande potenza economica? Non è forse questa la meschina e ridicola sorte che ci attenderebbe qualora decidessimo di tornare all’amata lira (per riferirsi ad una delle ambizioni di questa campagna), accettando un cambio nominale per forza di cose a noi avverso?

Quale futuro ci attende? O meglio, a quale futuro dobbiamo lavorare?
Su questo punto la fantasiosa politica nostrana, e non solo, ha dato il meglio di sè. Sembra, infatti, che i più abbiano dimenticato le radici di un progetto ambizioso che ha solo pochi decenni di vita e che sfugge alle consolidate categorizzazioni.
L’Europa infatti, divisa sin dalla fine del secondo conflitto mondiale tra forze centrifughe e centripete, ha scelto la terza via, quella funzionalista.
Alla fine della guerra Federalisti e Confederalisti si contendevano lo scalpo della sovranità nazionale: i primi intenzionati a giustiziarla definitivamente per giungere allo Stato europeo, i secondi interessati alla formazione di un’Europa statuale senza però immolare l’autodeterminazione dei futuribili membri.
Nessuno dei due movimenti riuscì ad affermarsi e in seno al primo Congresso d’Europa, tenutosi all’Aia per iniziativa di Churchill, la voce dei funzionalisti, tra cui Shuman e Monnet, iniziò a levarsi.
Nasceva la via dell’integrazione settoriale, un dispositivo giuridico e politico brillante. Si trattava di procedere a piccoli passi, ancorando la costruzione di un’unione tra gli Stati alla permeabilità dei settori economici prevalenti.
Insomma l’Europa non si sarebbe unita per effetto di un’azione rivoluzionaria ed istantanea generata da una grande convenzione costituzionale bensì per effetto di un graduale processo volto a porre le basi di una nuova struttura istituzionale.
Le altisonanti immagini di un’ Unione che si fa “Stati uniti d’Europa”, per quanto futuribile, è oggi lo specchietto dietro cui celare la noluntas di procedere a sostanziali e sostanziose cessioni di sovranità.
Quale sarà la forma, se preferite il nomen juris, che il vecchio continente dovrà prendere sarà la terza via a stabilirlo.
Oggi è necessario proseguire nel solco tracciato nel 1984 da Altiero Spinelli nel suo Progetto (leggetevelo, è di un avvenirismo imbarazzante) il cui fine è quello di gettare le basi per una organizzazione politica unitaria mediante la definizione di una serie di linee guida, in parte già interiorizzate dalla trattatistica comunitaria.

L’Europa, dunque, deve farsi Una, superare la frammentazione generata da risalenti e anacronistiche rivendicazioni nazionali, accettare la sfida dell’espansione demografica aprendosi all’integrazione e, senza cedere alle sirene dei populismi, comprendere che in costanza di paralisi e disgregazioni, come quelle generate dalla crisi,“là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”.