martedì 29 maggio 2018

È l'ora di andare oltre questo PD, è l'ora di un fronte progressista, europeista e repubblicano.


È l’ora di un fronte repubblicano. È l’ora in cui vibra l’imperativo di rassemblare le forze progressiste ed europeiste  del nostro Paese per proteggere la Repubblica ed il posto dell’Italia in Europa e nel mondo. È l’ora di lasciarsi alle spalle ogni divisione, è l’ora di fare un balzo in avanti, superare le vecchie alchimie su cui giganteggia un tempo tutto nuovo.

Il Partito Democratico ha il dovere di collocarsi in una formazione ampia, la più ampia, che sottragga peso ai simboli malamente identificati per darne alla difesa dei valori dell’integrazione europea che vedono nel nostro Paese un protagonista indispensabile. È l’ora di superare questo PD, intuizione straordinaria e modernissima, ma non più in grado da solo di contrapporsi al vento che spira fortissimo dall’altro lato. Per uno che milita in questo partito da anni è difficile da metabolizzare ed esternare ma la spinta propulsiva e innovatrice del Partito Democratico, per come lo conosciamo, si è pressoché esaurita.

È l’ora di dare l’ultima mandata alle porte del novecento, prima di restare chiusi dentro. Non credo sia una “questione di nomi” (intendo nome del Partito, per carità) come si usa dire, potrebbe esserlo ma al momento non so dirlo, ciò che credo per certo è che la visione europeista, la via del tempo nuovo che ci attende non possa essere spianata con i mezzi usati sinora. Non basta chiudere le finestre difronte all’uragano che arriva, sperando che non ti spazzi via la casa. È necessario costruire una casa più grande e più solida.

venerdì 11 maggio 2018

Del perchè la flat tax mina le fondamenta della nostra idea di Stato.


Definire compiutamente le ragioni per cui la flat tax causa importanti dubbi non è semplice, soprattutto qui sopra. I dubbi interessano, per vero, due ambiti: quello economico e quello giuridico ( se mi è concessa una distinzione semplicistica). In realtà i risvolti del ripudio della progressività sono tanti e davvero molto ampi, tanto da interpellare la scuola della sociologia fiscale.

Qui mi occupo più specificamente dei dubbi lato sensu giuridici. Quando avrò tempo scriverò qualcosa anche sulle perplessità economiche che, presso molti studiosi, genera la flat tax.

Il ricorso ad un tributo con aliquota non progressiva non è certo una novità nel dibattito politico italiano. Appare nel discorso dei primi anni 90, sulla spinta dei venti neoliberali che portano al potere il centrodestra. Ma allora non se ne fece nulla.
Il principio alla base della flat tax è il ricorso ad un aliquota unica per l’imposizione sui redditi, pur prevedendosi una serie di strumenti ( tra cui la no tax area) che ambiscono, nelle intenzioni dei proponenti, a ridurre gli effetti distorsivi della stessa.
Quale problema pone questo tipo di imposizione?

Il primo, più evidente, è il contrasto con il principio di progressività che informa il sistema tributario italiano. Si tratta di un principio costituzionale e pertanto con una forza passiva altissima ed una attiva molto trasversale.
Quest’ultimo è un dato non di poco conto, infatti a differenza di altri ordinamenti (come quello francese) in cui il Costituente non ha codificato il principio di progressività nella Carta, il nostro lo ha fatto con tutte le implicazioni del caso. Peraltro, la giurisprudenza costituzionale su questo punto è molto chiara.

Il ricorso all’imposizione piatta, inoltre, contrasta con quei principi di solidarietà ed eguaglianza sostanziale che informano le ambizioni dello Stato sociale di diritto italiano. L’Italia è tra i primi Paesi ad essersi dotato, nella seconda metà dell’ottocento, di un’imposta progressiva sul reddito. Il ricorso alla progressività è una scelta di campo molto chiara compiuta dal Costituente, non negoziabile, perché espressione di una certa idea di Stato.
L’idea che l’imposta possa essere strumento per realizzare ambizioni di politica sociale, quali la redistribuzione della ricchezza, l’appianamento delle diseguaglianza, la riduzione degli scarti sociali, viene annientata dal ricorso ad un’imposta con aliquota unica. Essa ci fa ripiombare indietro di un secolo, all’idea dello Stato minimo ottocentesco, lo Stato che meno fa meglio è. Lo Stato che non ha ambizione a riequilibrare le storture che la Società produce attraverso lo strumento dell’imposta.
Viene meno, attraverso la flat tax, l’impianto che regge ogni teoria solidaristica che, dalla fine delle due guerre, ha guidato i paesi dell’UE. Si disconosce l’idea per cui ciascuno viene al mondo carico di un debito nei confronti dei consociati e debba, pertanto, partecipare al benessere di ciascuno. Si interrompe quel processo di disindividualizzazione cui si è consacrata la Repubblica con i suoi valori.

Come si diceva prima, il ricorso alla flat tax non è una novità, e non lo è neppure fuori dal panorama italiano: si pensi ai paesi dell’Est Europa, che pure l’hanno via via abbandonata. Tuttavia, la circostanza che essa sia stata adoperata proprio da quest’ultimi non è casuale.
Lo strumento di cui parliamo è servito da sprone, in paesi vessati da cinque decenni di egalitarismo forsennato, per l’accumulazione del capitale di cui questi avevano bisogno. È largamente riconosciuto che si tratta di uno strumento inadatto a sistemi caratterizzati da un risparmio privato già molto forte, come l’Italia. 
Non è un caso che la Germania vi rinunciò all’epoca della prima Grande Coalizione all’esito delle elezioni del 2005. Allora Angela Merkel aveva proposto in campagna elettorale una flat tax con aliquota al 27%, questa proposta venne meno in seguito alla formazione di un Governo trasversale. Oggi la Germania è lontana dalle posizioni di allora e si è mostrata preoccupata dal ricorso a questo tipo di tassazione da parte dell’Italia.

La flat tax colpisce il cuore del Welfare State e soprattutto il principio per cui l’utilità sociale del reddito decresce all’aumentare del reddito stesso. In parole semplici: i contribuenti più umili usano il proprio reddito per esigenze di prima necessità e quindi socialmente più rilevanti; i contribuenti più abbienti godono di un reddito più alto che sarà destinato ad esigenze meno dignitose di tutela da parte dello Stato.

Tassare egualmente le due fasce di reddito significa avvantaggiare il ricco, sempre, qualunque tipo di correttivo venga usato.

Il discorso è davvero molto più ampio di quanto poche righe possano riassumere perché mette in gioco l’idea di Stato che abbiamo, la missione che ad esso intendiamo attribuire e se davvero vogliamo venire meno a quel patto sociale, consacrato dalla Costituzione, che lega i principi di solidarietà ed eguaglianza sostanziale alla missione della Repubblica. Rinunciare alla progressività mina le basi del nostro Stato di diritto.

Ps. L’argomento mi sta talmente tanto a cuore che se avete dubbi, incertezze o perplessità sono disposto a prendermi un caffè ( anche se non bevo caffè) per risolverli.