mercoledì 30 maggio 2012

Hank. episodio 2

Hank non riesce a dormire.
Alle tre in punto ha iniziato a scalciare come faceva da bambino. Per il suo trotto notturno, a  sei anni, i genitori lo esiliarono in una piccola camera in fondo al corridoio , lì avrebbe potuto scalciare  quanto gli pareva. Quello spazio poi fu adattato alle esigenze familiari: una parete di cartongesso ne fece due ripostigli. Uno , da dieci anni, vuoto.
Si è piantato nel mezzo del letto per due ore buone, si è acceso una Malboro, l’ultima del pacchetto ed è uscito fuori , nella terrazza che affaccia sulla strada principale.
Ha dimenticato che è inverno e il freddo gliela fa pagare. Come tanti spilli il gelo gli penetra nella carne e poi nelle ossa. Solo la mezza sigaretta è rimasta a dargli conforto.
Appoggia i gomiti sulla balaustra ghiacciata che inizia ad affondare nella pelle, lascerà un solco duro a scomparire.
Ci sono uno o due gradi eppure il petto di Hank ribolle, di fumo e di rabbia.
E’ un sentimento con cui ha imparato a convivere, dall’età di dieci anni se ne è fatto una ragione, la rabbia è il suo carburante. Si è rifugiato nella rabbia per non cadere nell’inerzia a cui avrebbero voluto condurlo i suoi genitori e gli imprenditori della noia. Quest’ultima  per Hank è la categoria da vincere : un club di donne e uomini grigi che ha monopolizzato il capitale umano del suo tempo, svuotandolo fino all’osso . Hanno conquistato tutti, bambini , donne e vecchi, senza che nessuno si sia ribellato. Per ventidue anni ha combattuto da solo contro i grigi , contro le loro stupide cravatte a fiorellini e pois , contro i loro modi cortesi , contro la loro  soffocante e spietata moderazione. Da solo, fino a una settimana fa.

Sono le nove e la casa è deserta, sono tutti a lavoro, Hank sarebbe dovuto scendere alle sette ma non ha sentito la sveglia.
In questa stanza c’è puzza di merda sono state le ultime parole di sua madre , poi il rumore della porta sbattuta e finalmente il silenzio.
La casa rimarrà libera fino al tardo pomeriggio e per Hank è come salire in Paradiso per un giorno. In vent’anni e poco più di vita ha imparato tutto: a rammendarsi i calzini, stirare le camice, rassettare la camera , per quanto possibile, tutto tranne  cucinare. A l’una in punto il panico prende il sopravvento , il frigo è vuoto. Si avventa sull’ultimo panetto di burro, lo ammorbidisce con il cucchiaio e lo fa entrare a forza in panino all’olio. Uno schifo.
In tutti questi anni non è entrato più di quattro volte nella stanza dei genitori, la penultima quando è morta la nonna: era rimasto sulla soglia ,con lo sguardo perso , assente da quello che lo circondava , s’era appoggiato ad uno stipite e un piede per volta s’era spinto fino alla terza mattonella, giusto il tempo di vederla cadavere. L’ultima volta era entrato di nascosto dai suoi, in piena notte. Gioia , sua madre, era rimasta a dormire in soggiorno come è solita fare quando il marito ha il turno delle ventitré. Hank entrò avanzando sui talloni , l’equilibrio precario gli fece tremare le braccia e il collo. Tentò di ridurre al minimo qualsiasi rumore , appena fu sul lato sinistro del letto si gettò in terra ,come un serpente si spinse fino alla base del comodino di suo padre  e con una mossa incredibile  infilò in un vano la sua scatola di latta.
Hank ha imparato che il nemico si vince in tre mosse : fottersene, infiltrarsi, fottere. L’ultima operazione nella camera dei suoi rientra nella terza categoria d’azione.
Alle tre del pomeriggio tutto è avvolto dal silenzio,  il solo rumore è quello prodotto dal rubinetto del bagno rotto da tre settimane , in strada non una macchina. Ha ancora quattro ore di serenità.
Abbandona la cucina per dirigersi verso il corridoio, lo attraversa tutto e a passi lunghi varca il campo avversario, con una mano si regge con l’altra recupera il bottino.
Avevano comprato quella scatola durante l’ultimo viaggio a Parigi, dentro erano custodite delle disgustose gallette francesi. Tre settimane fa ha sentito suo padre dimenarsi come una bestia tra i mobili della cucina : le fette biscottate aromatizzate all’orzo erano finite e Gioia aveva disgraziatamente dimenticato di rifornirsene. Hank ha sempre odiato le fette all’orzo. Una categoria stupida di biscotti per  consumatori stupidi, convinti che gli omini del mulino trascorrano le giornate ad aromatizzare le fette tostate. Suo padre ritiene che una finissima differenza di sapore ,percettibile solo ai più attenti , governi i biscotti aromatizzati. Quella mattina Hank si precipitò in cucina , consegnò a suo padre le gallette e ottenne in cambio la scatola di latta.
Ora è lì, sul letto ancora sfatto , colma di merce comprata a caro prezzo.
Il sole del primo pomeriggio invade la sua camera, quando spalanca la finestra che dà sul terrazzo il volto è avvolto da un insolito torpore. La lascia aperta e si avvia verso il lato in cui la ringhiera che delimita il perimetro corre parallela a quella dei nuovi vicini. Si siede nell’angolo  su un paio di quotidiani , impugna l’accendino e dopo tre tiri poggia la testa al muro ruvido.
E’ davvero in Paradiso. Un brivido gli percorre la schiena. Socchiude le palpebre.

-Cazzo! Ti tratti bene, questa sì che si chiama maria!-

Vorrebbe non aver sentito , vorrebbe essersi sbagliato , invece no. Qualche bastardo ha rotto il suo idillio, ora gli toccherà alzarsi e fingersi dispiaciuto, magari scusarsi e rientrare in casa, era persino riuscito a dimenticare l’orrendo panino al burro che adesso gli risale su per l’esofago.
Spalanca di scatto gli occhi.
Dal terrazzo attiguo un corpo incantevole si protende verso il suo.

-Sei già fatto?-

Hank è ancora tutto rannicchiato , non fa in tempo ad articolare una risposta plausibile che la mano dell’invasore si fa largo tra le due ringhiere e con un gesto fulmineo gli sottrae quanto a fatica aveva confezionato.



Quando inizia a piovere Hank non se ne accorge neppure, si sta bagnando e tra qualche minuto sarà fradicio. Pensa al suo incontro di una settimana fa, se ne era stato tre ore seduto in un angolo di quel terrazzo , fianco a fianco con una perfetta sconosciuta a fumare.
Si erano scambiati poche parole , troppe per entrambi, pochissime per il resto del mondo. Eppure a loro erano bastate. Lei gli aveva promesso di fargli provare una riserva del duemilaotto, così l’aveva chiamata. Lui aveva strizzato un occhio in una maniera goffissima.
“Comunque , piacere Francesca” gli aveva detto prima di sollevarsi dal pavimento ghiacciato, lui l’aveva ripagata col suo nome. Francesca aveva risposto con un cenno del capo, niente di più.

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