mercoledì 11 gennaio 2012

Una Storia.

-Avete dimenticato la borsa dei giochi!-
Sento il rumore dei loro passi che scendono le scale, o forse salgono. No stanno scendendo. Li prenderanno la prossima volta.

-          Giulia!- Chiamo
-          Giulia! Dove sei ?-
Poi Giulia arriva.

E’ sotto l’arco della porta. I capelli bianchi , raccolti in uno chignon, come sempre da qualche anno.
E’ancora tanto bella.

-          I ragazzi hanno dimenticato i giochi. Chiama Adele e dille di venirli a prendere-
-          Li prenderanno domani, a pranzo-
-          Hmm , sia –

      - Ah Giulia!-
      - Che c’è?-

Vorrei dirle grazie, non so perché. In fondo lo so. Perché è rimasta lì, non se ne è mai andata neppure nelle notti più brutte , quando non c’era pane e si viveva alla giornata , quando i nostri corpi hanno iniziato a cedere, quando alla sera , dopo cena , da cinque anni a questa parte deve condurmi sotto braccio , a passeggio , perché i muscoli non si atrofizzino e io possa camminare , il giorno dopo , un’ora di più.
Lo sai che ancora ti amo , vorrei dirle.
Ci provo.

-          Lo sai che per cena mi andrebbe il pollo?
-          E’ quello che sto cucinando –
-          Hmm, sia-

Non ce l’ho fatta. Sono troppo vecchio per queste cose.

Esce. Chiude la porta. Un’ultima vibrazione del vetro e poi il silenzio.
Sono solo. Sulla mia poltrona. Il camoscio si è sbiadito, la seduta non esiste più. Giulia ci ha piazzato un cuscino di lana , a fiori grandi.
Ormai le mie mani sono dello stesso colore dei braccioli, me ne rendo conto ogni sera, quando accendo la lampada. Le prime volte mi dicevo che era per la troppa luce, invece no.
Erano i troppi anni.
Con l’indice e il pollice mi rigiro la fede. Ho tanto tempo.
Mi sono convinto che solo da vecchi si apprezza il tempo.
Quando hai pomeriggi interi per osservare la gente, settimane per leggere un libro. Quando puoi permetterti di non capire al primo colpo , perché avrai tempo per cercare qualcuno che ti rispieghi il concetto  e magari ripensarci e ripensarci  e se ti sei annoiato rassegnarti. E se vuoi , chiedere ancora una volta perché hai ore e ore a disposizione.
Una volta non era così.
Vivevo pensando alle cose da fare e quando arrivava la sera m’ affrettavo a terminarle. Oggi lascio sempre una o due cose  per il giorno dopo per due motivi : perché quando si è vecchi le mattine sembrano non finire mai  e perché quando verrà quel giorno in cui miei occhi non s’apriranno qualcuno possa continuare le cose che io ho lasciato a metà.

Mi alzo. Per poco non inciampo nel tappeto. Maledetta! Penso. E poi in un secondo l’assolvo.
Mi dirigo verso la libreria. Sfilo due volumi e una decina di riviste.
Ottengo quel che cerco.
Una vecchia copia di Repubblica, datata dieci Dicembre duemilaundici.
Lì dentro ci sono io.
Qualche tempo fa rovistavo in un vecchio scatolo di biancheria , rimasi quasi stordito dalla naftalina con cui era stato rimpinzato non ricordo neppure da chi. Ero convinto di cercare nel posto giusto.
Sul fondo dello scatolo, in una cartellina consumata , c’erano le mie lettere.
In realtà erano scritti , mai spediti.
Quando li presi tra le mani istintivamente li avvicinai al volto, come per sentirli davvero miei.
Come se temessi che quello non fossi più io. Che gli anni m’avessero cambiato , troppo.
Invece riscoprii  in quelle righe una storia meravigliosa.
La mia storia ,ma questo non importa.

Da qualche tempo , ogni sera li rileggo. Li ho nascosti in questa vecchia copia di Repubblica perché temo che Giulia possa scoprirli. In realtà qualcosa mi dice che lei già sappia, o forse tanto tempo fa gliene ho parlato o glieli ho addirittura letti. Se così è stato, non lo ricordo.
Per ora voglio che questo rimanga il segreto di un povero vecchio.

A diciassette anni , per la seconda volta nella mia vita , vidi l’America.
Tre cose ho amato sino ad oggi: le donne, la musica e l’America.
Forse sono preso dall’enfasi del ricordo, ma sono sicuro che di quei tempi era questo ciò che amavo.
Stetti a lungo negli USA. Partii da solo. Per la prima volta.
Sapevo , però , di non essere solo.
Da un po’ di mesi avevo conosciuto Corinne. Fu lei , sempre , in quelle settimane il destinatario della mia penna e , prima ancora, dei miei pensieri.
Trascorsi sulla East Coast quasi un mese, fu un estate indescrivibile. Oggi ricordo ogni ora , ogni volto di quei giorni.

…L’aeroporto è affollato , sono appena atterrato , tra un po’ prenderò il secondo volo per tornare in Italia, sono seduto  al gate d’imbarco. Io sono qui e scrivo, non so perché lo faccio , ma scrivo…

Desideravo che Corinne comparisse , sapevo che era impossibile, ma poi chiudevo gli occhi e davvero credevo che potesse accadere. Ho vissuto quella stessa sensazione  solo una seconda volta nella mia vita , tre anni fa , quando  ho dovuto fare i conti con i miei anni. Ero solo , steso in una sala d’ospedale e chiudevo gli occhi e stringevo le palpebre . Cercavo Giulia , per qualche minuto mi convinsi che lei fosse accanto a me , stringendomi la mano.

… sotto di noi c’è l’Oceano, sto tornando a casa, ti penso…

In quel viaggio scrissi come mai più sarebbe accaduto.
Era l’America , ara l’amore , era il turbamento di un tempo che mi sembra tanto lontano.
Oggi si confondono nel petto i sussulti di quei giorni; il profumo del cibo, le persone ancora care e un’ inesplicabile sensazione d’eterno. La mia mente e il mio cuore erano convinti che nessuna  di tutte quelle cose sarebbe finita. E infondo era vero.
Perché ero lì , in America, e scrivevo e ascoltavo la musica e pensavo a Corinne.

-E’pronta la cena , vieni!-
Si sporge oltre la soglia della porta ed esclama : - Ti ho preparato il pollo, fai presto che dopo scendiamo.-
Giulia mi chiama. Io fingo di dormire.
Sono vecchio e ho ancora tanto tempo.

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