Ma anch'io , se permettete, di quei tempi ero fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare, in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e buscheravano giù per torto e su per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori ne paresse nulla.
giovedì 31 marzo 2011
« Convalido l'iscrizione di questo blog al servizio Paperblog sotto lo pseudonimo nicolamondini ».
martedì 29 marzo 2011
Lettera ad un amico omosessuale.
Caro Nino,
quando le nostre famiglie si conobbero, avevamo entrambi poco più di otto anni, quando il tempo della nostra amicizia è terminato appena diciotto.
I ricordi spesso affollano la mente e mi rapiscono dalle cose del giorno, i pensieri si accompagnano ai rimorsi e si fanno assordanti. Sappi che il mio animo difficilmente troverà pace o i miei dubbi conforto. Quando l'amicizia s'era fatta fraterna t'addentrasti nella mia coscienza meglio d'ogni altro e io seppi , meglio d'ogni altro , pugnalarti con efferatezza senza che tu potessi comprendere,ascoltare,dire.
Nelle vacanze di qualche Natale fa m'avvicinasti per parlare. Io , per la verbosità mia e per la mia stupidità ti persi.
Ti vado cercando , ti cerca la mia mente , ti cerca la mia coscienza lorda , sappi perdonarla, ti prego , te lo chiedo da amico e confidente quale non sono mai stato.
Prego Iddio che possa la nobiltà del tuo animo accarezzare la tremenda stupidità dei miei pensieri.
Quando Nino aveva quindici anni si confessò a me come mai io avrei pensato che Nino potesse essere, seppe farlo con dolcezza, forse perché era Nino, forse perché aveva solo quindici anni.
Nino mi disse che un pò per gioco , un pò per ricerca dell'ebbrezza , una di quelle notti era stato con un uomo, per vero, un ragazzo poco più grande di lui. Non so come si fossero incontrati, non so come Nino lo avesse incontrato, non so perchè , mai l'ho voluto sapere.
Mi disse che s'erano baciati come si baciano due fidanzati che s'amano intensamente, con lo stesso fervore, con la stessa passione, loro però mai si erano amati e mai si sarebbero amati.
Nino era stato fidanzato , era disinibito come mai io sono stato, era capace di farsi amare.
Fu per questo , per la mia ottusità che volli convincermi che Nino era stato con un uomo solo per gioco, per divertimento...perchè era disinibito, come io mai sono stato.
Quando però le confidenze si fecero frequenti scoprì che l'occasione aveva ceduto il posto all'ordinario, a un rapporto che io vedevo diverso, perchè la mia mente, avvinghiata da stupidi luoghi comuni, da sempre schiavizzata dall'attrazione per la categorizzazione, non accettava l'attrazione che Nino provava per l'altro uomo.
Qualche anno dopo incontrò un ragazzo che diceva d'amare come mai avrebbe pensato d'essere capace di fare, sapevo che lui non mentiva, non sapeva mentire, avevo la terribile paura di dovergli credere.
Si amavano, il loro amore si faceva carnale , come ogni amore pieno, si faceva sesso; non comprenderà mai il lettore il ribrezzo che oggi provo per le sensazioni terribili che percorrevano il mio animo, fui schiavo dell'apparenza , del buon nome, dei pensieri degli altri, consigliai , ordinai a Nino di rinchiudere sotto le parole delle sue confessioni la sua vita,perché nessuno sapesse.
Perché lo feci? Non lo so.
Per timore.
Per vergogna che si dicesse che ero stato amico di Uno che era diventato diverso.
Nelle vacanze di qualche Natale fa m'avvicinasti per parlare. Io , per la verbosità mia e per la mia stupidità ti persi.
Ti vado cercando , ti cerca la mia mente , ti cerca la mia coscienza lorda , sappi perdonarla, ti prego , te lo chiedo da amico e confidente quale non sono mai stato.
Prego Iddio che possa la nobiltà del tuo animo accarezzare la tremenda stupidità dei miei pensieri.
Quando Nino aveva quindici anni si confessò a me come mai io avrei pensato che Nino potesse essere, seppe farlo con dolcezza, forse perché era Nino, forse perché aveva solo quindici anni.
Nino mi disse che un pò per gioco , un pò per ricerca dell'ebbrezza , una di quelle notti era stato con un uomo, per vero, un ragazzo poco più grande di lui. Non so come si fossero incontrati, non so come Nino lo avesse incontrato, non so perchè , mai l'ho voluto sapere.
Mi disse che s'erano baciati come si baciano due fidanzati che s'amano intensamente, con lo stesso fervore, con la stessa passione, loro però mai si erano amati e mai si sarebbero amati.
Nino era stato fidanzato , era disinibito come mai io sono stato, era capace di farsi amare.
Fu per questo , per la mia ottusità che volli convincermi che Nino era stato con un uomo solo per gioco, per divertimento...perchè era disinibito, come io mai sono stato.
Quando però le confidenze si fecero frequenti scoprì che l'occasione aveva ceduto il posto all'ordinario, a un rapporto che io vedevo diverso, perchè la mia mente, avvinghiata da stupidi luoghi comuni, da sempre schiavizzata dall'attrazione per la categorizzazione, non accettava l'attrazione che Nino provava per l'altro uomo.
Qualche anno dopo incontrò un ragazzo che diceva d'amare come mai avrebbe pensato d'essere capace di fare, sapevo che lui non mentiva, non sapeva mentire, avevo la terribile paura di dovergli credere.
Si amavano, il loro amore si faceva carnale , come ogni amore pieno, si faceva sesso; non comprenderà mai il lettore il ribrezzo che oggi provo per le sensazioni terribili che percorrevano il mio animo, fui schiavo dell'apparenza , del buon nome, dei pensieri degli altri, consigliai , ordinai a Nino di rinchiudere sotto le parole delle sue confessioni la sua vita,perché nessuno sapesse.
Perché lo feci? Non lo so.
Per timore.
Per vergogna che si dicesse che ero stato amico di Uno che era diventato diverso.
Nino continuò ad amare quel ragazzo , continuò a fare all’amore con lui, io non gli rivolsi più la parola. Da quel giorno la mia dignità è morta, è morta la vita vera, sono diventato un povero fantasma ,la mia coscienza si è ridotta a sgualdrina d’una morale inesistente, serva e puttana, nata dalla stupida mente di chi si pensa nel giusto, perché dicono sia giusto, perché vogliono far credere che sia giusto, perché noi lo crediamo, io l’ho creduto, anzi ho voluto.
Ormai è trascorso un anno da quando Nino , per l’ultima volta, mi ha chiamato. Volle incontrarmi. Io accettai. Temendo non so cosa lo raggiunsi, m’aspettavo un Nino diverso, per un insano e perverso modo di pensare. Nino era rimasto uguale, io invece ero terribilmente cambiato.
Non uno sguardo, non una parola, non un saluto.
- Ho detto di me – mi disse, - l’ho detto a mio padre, m’ha cacciato, sono solo, aiutami-
- No- gli risposi.
Scappai.
Nelle notti di solitudine quel no , oggi, affligge i miei sonni. Ritorna nei pensieri d’ogni giorno, come un fantasma, come quel fantasma che sono diventato.
Qualche giorno fa ho avuto notizia di Nino e i miei fantasmi si sono fatti carne. Sono diventati la mia condanna.
- Ricordi quel tuo amico?... bhe ora fa la puttana , gli danno quattro soldi e campa così… di notte, poveraccio-
Ancora una volta ho voltato le spalle e sono corso via ma ora so che se il Nino che non volli conoscere è morto , la colpa è della mia coscienza e dei miei fantasmi.
Il mio No l’ha ammazzato. La mia coscienza l’ha seppellito.
P.S. Non tenti morbosamente il lettore di cercare il vero oltre la lettera, la scrittura è scrittura e ciò che di vero c’è rimanga custodito dal racconto.
domenica 27 marzo 2011
Il mio paese. Il Liceo.
Quando viene la sera le mani battono la tastiera con più trasporto, forse è solo una mia impressione, forse non è cosi, stasera però questa regola vale, e le mani corrono.
Quando ho pensato per la prima volta a queste mie storie, storie di paese, di gente di paese, nella mente mi sono figurato la mia realtà. La mia quotidianità, i pensieri sui fatti , sui gesti che ogni giorno vivo e respiro. Quando per la prima volta pensai al paese come mondo a sé o , come piacerà leggere a qualcuno, al mondo come paese (senza che ogni mondo sia paese , per carità!) si è figurata nella mente un’immagine ben precisa, una di quelle che chi ama scrivere cerca di racchiudere in scrittura prima che la freschezza dell’immagine sia dispersa, era l’immagine di un liceo di paese .Il mio liceo, il mio paese.
Negli ultimi anni ho conosciuto tanti licei di città e mi sono convinto, lettore mio, che studiare in città è cosa ben diversa che studiare in paese, lì i libri camminano su gambe diverse, i pensieri di chi li legge sono diversi, la parola di chi li racconta è parola diversa, è parola di chi pensa di conoscere il mondo, d’averlo vissuto in lungo e in largo, perché dal suo balcone si vedono alti palazzi , perché il suo è un liceo di città.
Chi vive in paese siede esattamente dalla parte opposta del cannocchiale, spesso su una sedia un po’più sgangherata delle sedie di città, dalla finestra della sua aula ne vede i palazzi lontani e ancora prova meraviglia quando ne attraversa le strade. Il mondo è grande per chi sfoglia le pagine d’un libro di paese e quando il giovane di paese le racconta all’ insegnante di paese le sue sono le parole di chi sogna di conoscere il mondo.
Il desiderio, si sa , è mille volte più forte di tante stupide convinzioni e sogno dopo sogno il giovane di paese diventa abitante della città e poi del mondo , ma il paese gli ha insegnato a guardare sempre con meraviglia i palazzi di città sicché non smetterà mai di sognarsi abitante di altri mondi.
Quando penso alla scuola penso al mio liceo(che è liceo di paese con annessi e connessi, direbbe qualcuno) e ringrazio il Creatore d’avermi fatto nascere paesano, pensate che iattura e che noia conoscere tutto , ma proprio tutto ,di questo nostro mondo; non mi resterebbe che darmi al sovraumano o alla corsa su binario(di treno , s’intende).
Il liceo di paese ha la custode dai capelli tinti che conosce tutti e dico tutti, lettore mio, gli studenti di paese.
(Che banalità! E’ pronto ad esclamare il lettore che si pensa arguto , che sciocchezza!
Io sciocchezze ne scrivo a bizzeffe e senza di quelle non avrei di che parlare , dunque continuo a cianciare )
Il liceo di paese ha l’insegna cadente, perché salendone le scale si possa dire ..ehhh ma quello di città…bhe.. non c’è paragone, lì hanno l’insegna al neon che di notte si illumina, così continuando a sognare e con meraviglia pensare ad altri mondi.
Del liceo di paese ricordo la gente , la tanta gente o forse le tante umanità che ,stranamente , curiosamente, il paese sapeva accogliere e fare di paese, senza che nessuno di noi se ne accorgesse entrando nel liceo di paese il liceo stesso c’ha fatto paesani (e viva Dio !).
Ricordo le aule di quel liceo di paese , e ne ricordo una in particolare, dalle cui finestre , meglio d’ogni altra gli studenti di paese guardavano e guardano ammirati la città lontana, aspettando di conoscere il mondo.
P.S. Non la prenda a male il lettore di città, sono uno di quei paesani mediocri che per partigianeria a volte eccede , se l'ho fatto chiedo venia.
mercoledì 23 marzo 2011
Categorie della gioventù paesana. (Ogni riferimento non è casuale)
Ho imparato che comprendiamo e impariamo a comprendere solo in funzione della sedimentazione di concreti casi che generano, attraverso la riflessione, la categoria e la norma.
Mi spiego.
Perché possiamo dividere in specie o più semplicemente in gruppi un insieme è necessario che un lungo lavorio ci conduca ad analizzare i diversi casi che il caso ci porta a considerare.
Insomma, è necessario un lavorio casistico che ci porti attraverso gli uomini per identificare le caratteristiche delle categorie di uomini (quando diciamo “quella donna è una puttana”, ndr. viva le vere puttane!, lo facciamo in funzione di una serie di caratteristiche che il comune pensare ci fornisce), orbene è necessario a monte conoscere tanti tanti uomini per dividerli in gruppi (pezzenti,presuntuosi,d’animo nobile ecc. ).
Come il lettore comprenderà la mia è l’analisi “brulla” di chi per tedio e per diletto scrive, non la si prenda per vera teoria.
Posto ciò, rientriamo in paese.
Altrove ho detto che il paese vive di categorie e di etichette, di stereotipi che imbrigliano i paesani ed io , che sono mente mediocre e ho la curiosità d’un’arguta massaia (sempre di paese ,s’intenda), mi diletto ad affibbiarle ai paesani.
Intendiamoci. Lo stereotipo è la camicia di forza dell’intelletto e della creatività che costringe gli uomini piccoli a stupide elucubrazioni che da un giorno all’altro diventano forbite teorie; le mie sono le chiacchiere di chi, guardando guardando,s’è fatto un pensiero.
Per quel lettore che voglia verificare si faccia un giro , senza troppe attenzioni , in un piccolo paese non lontano dalla grande città ma abbastanza per farci la vendemmia in Ottobre e una processione folcloristica nel mese di Gennaio.
Nella smania di spulciare tra la gioventù (termine che s’usa poco , forse perché allusivo d’un indirizzo socioculturale del secolo passato o forse perché s’è soliti rimpiazzarlo con “i giovani” , sottraendovi la compattezza che gioventù aveva e giovani perde … ma non inoltriamoci troppo) ho visto camminare tra le strade del paese, se volete , del mio paese, camminandoci io stesso : signorotti del paesello, signorotti presunti (e mal riusciti) e i paesani sbagliati.
I signorotti presunti (e mal riusciti).
È questa la categoria che più d’ogni altra m’appassiona, quella che più stuzzica i sensi e la curiosità, che mi porta a sorridere con bonarietà d’una parte del paese.
Son questi quei paesanotti , nati in paese o comunque cresciuti da sempre tra i quattro palazzi della piazza , che per una ragione o per un’altra si credon signori , appunto signorotti presunti e spesso mal riusciti. Sono quei tipi baldanzosi che vestendo “guarnizioni” spesso curiose finiscono con l’essere la copia non riuscita d’un prototipo malamente scimmiottato.
Tali giovinotti e giovinotte (neologismo per la verità orrendo ma necessario )sono forniti e armati da padri e madri, paesani anch’essi, che quasi per riscattarsi da un provincialismo da cui si sentono appiccicati e che hanno tentato di scalzare in tutti i modi( lei impupazzandosi a dismisura e prosciugando le tasche del marito per compiacersi della signorilità conquistata, lui motorizzandosi perché potesse far vanto dell’ammirazione del paesano , povero disperato, ancor’ paesano )coprono i figlioli d’ogni stupidità perchè possano farne sfoggio. Ecco , lettore mio , che la stupidità spesso finisce per trionfare ove tali signorotti prendono a riunirsi e quando lo fanno … bontà divina … diventa tutto un pullulare di scimmiesche rappresentazioni e apparizioni ,a loro volta, mal riuscite imitazioni delle costumanze d’un vivere sociale che i paesanotti nostri trasformano in una divertente parodia d’un mondo cui, forse meritoriamente, si sforzano in ogni modo d’appartenere.
Poveri i nostri “signorotti mal riusciti” spesso s’aggirano solitari tra le strade della città come signori senza casato, duchi senza ducato sicchè , senza rendersene conto, s’affaticano per tornare al loro paesello diventando zimbelli del signore di città che ebbe a conoscerli e continuando a sentirsi anch’essi signori tra i quattro palazzi della piazza, tra le mamme impupazzate , tra una vecchia balera di paese riadattata a locale di gran moda e un quisibeve che chiamano , con accento incerto , “lounge bar”.
I Signorotti del paesello.
E’ questa , lettore mio, una categoria di limbo, una di quelle che chi scrive fatica a rappresentare, che è confine tra serio e faceto (per la verità chi scrive intinge la penna nell’inchiostro del buffo e del paradosso).
Ecco , il “signorotto del paesello” è un mezzo signore, uno di quelli che ha i cortigiani ma non la corte, che ha il seguito ma non la pagnotta da spartire, perché le pagnotte le millanta ma ne tiene vuote le tasche. E’quel tale che “i signorotti presunti” riconoscono e ammirano e ,mercè il seguito che può vantare, è signorotto ( e non presunto) per acclamazione.
Questi provvede agli altri paesani la balera e il quisibeve e gli altri per tener le braghe alte e la parrucca sulla testa si scappellano quand’egli passa, è come quel Luigi della Francia bella che per tenersi la corona organizza festicciole, fa costruir villini e “imbandisce” orge . Se Luigi era uno e a lungo uno rimase (perché , si sa, la Francia è più città che paese), nel paesello son tanti quelli che si contendon la corona e quando la coppa è vuota il cortigiano sbotta e , quanto mai inappetente, cerca altri signori che gli provveda altre balere , dove possa dire tra altri signorotti che lo manda Luigi ,sovrano squisitissimo seppur non sia di Francia.
I paesani sbagliati.
Senza saper perché e senza saper come ,accade che taluni giovani si trovano a nascere in paese e sin da quando la mamma gli porge il petto vien da dire :“ questi non saranno mai paesani”.Non conoscono signorotti e non aspirano a diventarlo perché gli basta d’esser di paese seppur mai si definirebbero paesani. Questi vivono con un piede nel paese e l’altro nella città , laddove la città (come altrove detto)è il paese , per vero inesistente, senza cortigiani che cercano pagnotte e sfoggiano guarnizioni e senza signori dalle tasche vuote.
Il paese , mi direte, è dunque quello dei signorotti , delle impupazzate e dei Luigi senza Francia … no , lettore mio, è quello il paese da cui “i paesani sbagliati” tentano di fuggire(e bene fanno) perché il Paese non è un “posto” è anch’esso una categoria , frutto d’un lungo lavorio.
lunedì 7 marzo 2011
Sono solo.
Buon Dio , alla luce della notte, son solo.
Solo quando il freddo del lenzuolo percorre le membra,
solo.
Perchè non amo.
Amato mai e solo.
Vago senza appiglio ma là fuori nessuno vede il travaglio.
Solo.
Mi fingo ma piango.
Urlo dentro e l'urlo m'assorda, nessuno lo sente e pur io mi faccio nessuno.
Mi ricordo bambino, qui , nel mio letto, coi miei pensieri,
solo.
(Notte del sette Marzo 2011)
Solo quando il freddo del lenzuolo percorre le membra,
solo.
Perchè non amo.
Amato mai e solo.
Vago senza appiglio ma là fuori nessuno vede il travaglio.
Solo.
Mi fingo ma piango.
Urlo dentro e l'urlo m'assorda, nessuno lo sente e pur io mi faccio nessuno.
Mi ricordo bambino, qui , nel mio letto, coi miei pensieri,
solo.
(Notte del sette Marzo 2011)
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