lunedì 18 febbraio 2013

Domenica voto.Con amore.



Domenica voto.
Fondamentalmente per la prima volta.
Voto dopo l’ibernazione democratica, dopo l’era del grande smarrimento comune, del disamore politico , del disinteresse sociale e di tutte le boiate simili con cui ci hanno infarcito i sensi nell’ultimo decennio.
Sono un moderato perché mi hanno istruito alla moderazione , insegnato alla diplomazia , condotto all’equilibrio ma questa volta sono determinato all’estremismo.
Il motivo è semplice: alle prossime elezioni non avrò più vent’anni.
Chi come me è nato nei primi anni novanta vota oggi per la prima volta. E il primo voto  è un  po’ come fare l’amore per la prima volta: nel bene e nel male è un’esperienza travolgente. E’ un battesimo, un’iniziazione, un traguardo e una partenza , apogeo e rinascita. Fuori dai troppi lirismi che spesso mi travolgono , sono convinto di ciò: la nostra generazione porta sulle spalle il fardello più pesante dal dopoguerra ad oggi.
E’ protagonista della scelta che non tornerà più.
Il motivo è storico e anagrafico insieme.
I ventenni primo repubblicani hanno avuto poco da scegliere per sessant’anni e poco più, hanno vissuto in  un sistema bloccato, sotto il peso di una perenne convenzione all’esclusione (per dirla con i politologi) che rendeva ogni voto dato alla Sinistra (quella con la S maiuscola) un voto di protesta, incapace di condurre la formazione politica dei sogni al Governo.
La generazione di mio padre ha vissuto i propri vent’anni nella convinzione che al Governo ci sarebbe andato questo o quel democristiano o , nel migliore dei casi, qualche uomo moderatamente progressista in una compagine debitamente annacquata . Un ventenne degli anni ottanta barrava la scheda appaltando il voto al miglior baluardo per l’argine democristiano, appaltava la speranza nella consapevolezza di non ottenere introiti ma con la convinzione di capitalizzare. Di accumulare interessi non riscossi che per un fenomeno di anatocismo politico sarebbero andati ai propri figli. Ma , bontà loro, quei figli sono diventati i nipoti.
Poi è caduto il Muro ma i ventenni di allora non hanno fatto in tempo a consumare la loro rivoluzione che anche in Italia è crollato tutto: Bum!
Uno dopo l’altro sono scomparsi tutti: i partiti buoni e i partiti cattivi, quelli della domenica in chiesa e quelli del lunedì in fabbrica. Niente più sogni, niente. Un intero capitale di voti centristi andò bruciato nel giro di qualche settimana e quei voti che i ventenni primo repubblicani avevano messo da parte nella speranza di conservali per i propri figli andarono perduti anch’essi.
Poi fu la volta dei ventenni del ’94, figli dei ventenni vissuti al tempo della democrazia bloccata.
Ma da quell’ annus horribils c’è stato poco da sperare per circa due decenni.
Gli italiani hanno continuato a dividersi in guelfi e ghibellini, Montecchi e Capuleti, Berlusconiani ed Antiberlusconiani. L’uomo di Arcore ha governato per intervalla insaniae e ancora una volta ai nuovi votanti non restava che appaltare la speranza all’argine migliore che, nella situazione meno tragica , ha retto il colpo per una manciata di mesi.
Ma lo scorso Novembre è cambiato tutto.
Tredici mesi fa , per complesse alchimie storiche, politiche ed economiche il paese è entrato in un limbo fuori dal tempo, in una enorme e inusitata pausa di riflessione , un gigantesco fermi tutti. Un attimo prima del fosso, quando sulle braccia si sentiva già il vento ci siamo seduti e abbiamo iniziato ad aspettare.
Come tutti i fenomeni mediatici anche quello berlusconiano ha così esaurito la propria forza propulsiva restando però a galla.
Ecco che entra in scena la generazione di chi oggi vota per la prima volta. Siamo tutti sulla soglia di una porta che nessuno vuole varcare perché nessuno ha la forza di farlo , perché chi per tutta questa maledettissima seconda repubblica ha sperato  non vuole più combattere, perché i ventenni del novantaquattro (con la buona pace di qualcuno) sono presi dallo sconforto , hanno abbandonato il proprio voto in un orfanotrofio e non hanno il coraggio di dichiararsene padri.
Vedete, penso con convinzione che quella soglia  oggi la possano varcare solo i ventenni perché solo essi dispongono della forza necessaria, perché dispongono di un voto nuovo, di un voto vergine. Puro, se volete.
Perché per la prima volta dopo generazioni di appaltatori speranzosi non siamo chiamati a scegliere per arginare la vittoria certa dell’antagonista di turno ma per dare la spinta decisiva alla nostra vittoria.
Portiamo sulle spalle i sogni dei nostri padri, abbiamo il dovere di riscuotere il credito che per anni essi hanno accumulato credendo di avere perso, siamo chiamati a dare voce ai ventenni che quando a Berlino cadeva il muro e nel Mondo non esistevano più barriere assistevano inermi agli ultimi rivolgimenti di un sistema corrotto e schifoso.
Per la prima volta i ventenni non sono chiamati a votare contro. Siamo chiamati a votare per.
Ecco dunque che abbiamo la responsabilità più grande. Solo chi oggi vota per la prima volta ha le chiavi giuste per aprire la porta del Paese che abbiamo a lungo sperato. Non so se oltre quella porta ci siano certezze, per vero non lo penso neppure ma sono certo che sia necessario varcare la soglia. E il passo lo possiamo compiere solo noi pienamente, liberamente e senza condizionamenti come mai prima nella storia di questo Paese.

Ogni prima volta genera timori.
Quando si fa all’amore per la prima volta senza amarsi si teme che dopo venga l’amore e quando si fa l’amore (per la prima volta) amandosi si teme che qualcosa vada storto. Ma in entrambi i casi, al netto dell’errore statistico, la prima volta resta indimenticabile.
Se non amiamo ancora non dobbiamo temere di iniziare a farlo, chi non ama per paura di soffrire è uno stolto o ha deciso deliberatamente di non vivere. Chi si innamora, invece, dopo la sua prima volta ha varcato la soglia dell’attimo e non conosce gioia più grande.
Non abbiamo altra strada. Oggi più di ieri e , forse , più di domani.
Dobbiamo spingerci oltre. E amare.


domenica 17 febbraio 2013

L'amore sporco degli uomini indegni.

La testa mi esploderà da un momento all'altro.
Sono ancora nudo. In bocca ho il sapore salino del bacio.
Paolo è in cucina ,prepara un panino.
Abbiamo appena fatto all'amore.
             21 Ottobre 1999

Paolino mio, ti ricordi quel pomeriggio di quattordici anni fa? Avevamo fatto l'amore per la prima volta. Io per la prima in assoluto.
Avevo vent'anni e tu uno di più.
Non facevo altro che chiederti: mi ami? e quanto? Mi sentivo un imbecille. Ma tu con garbo e, riconosco oggi, con immensa pazienza, rispondevi: tanto,tantissimo.
La mia mente votata al raziocinio aveva perso ogni architettura ma quanto fu bello e incredibile riconoscermi così diverso da come mi ero pensato.
Ci incontrammo per caso e fu intendimento e ci amammo.
Venisti a casa in un pomeriggio durante le Feste di Natale, chiedesti di mio padre, io ti condussi da lui e tu gli stringesti la mano più forte di quanto eri solito fare(oggi so che ti diede forza) e ti presentasti  dicendogli: piacere sono Paolo, il ragazzo di suo figlio.
Papà ti guardò fisso negli occhi ed esclamò: eppure ero convinto che a mio figlio piacessero i biondi. Quanta saggezza.
La sera che papà se ne è andato piangevi come un bimbo, piangevi forse più di me e mia sorella. Lui ti voleva tanto bene ma non te lo ha mai detto. Era un'uomo d'altri tempi eppure quando capì che ero perso di te non cercò ragioni; una sera peró mi prese una spalla mentre rientravo nella mia camera e chiese: Ma tu e Paolo...
Trascorse una manciata di secondi che parvero ad entrambi interminabili. Non ci fu bisogno di risposta.
Ci amavamo al mattino, ci amavamo di sera quando prendevo la penna e parlavo al mio diario per scriverti lettere che non avresti mai letto, quando ci accarezzavamo e le nostre mani percorrevano i fianchi , quando mi prendevi il braccio e lo stringevi forte per poi baciarmi e ci baciavamo intensamente fino a non respirare più, fino a quando il corpo chiedeva pietà.
Ci amavamo come si erano amati i nostri genitori e come si ameranno i nostri nipoti, come ama qualsiasi ventenne. I nostri cuori conoscevano le stesse acrobazie. I nostri pensieri s'ubriacavano alla stessa maniera.
Ma per chi ci guardava là fuori le nostre lune erano diverse, come lo erano le spiagge su cui trascorrevamo le notti insonni e i falò di ferragosto davanti a cui ci demmo mille baci. Era diversa pure la strada dove passeggiavamo e le nostre preoccupazioni si intrecciavano in mille evoluzioni e così i fiori che ti regalavo al compleanno e i dischi che ascoltavamo e i libri che leggevamo assieme.
Eppure, Paolino mio, io non conosco altro mondo che quello che vedo ogni giorno quando mi sveglio al mattino. Le lune degli amanti notturni sono tutte egualmente belle , soprattuto se piene come piacciono a noi. Sono tutte egualmente romantiche le spiagge al tramonto e i fuochi di notte e le passeggiate di pietra battuta finché rimangono impregnate di amore.
Come pretende l'altro uomo di misurare il mio amore e di farlo diverso, di amare meglio di quanto io sappia fare?
Amo come ama la moglie, come ama lo sposo. Il mio petto conosce le stesse ansie e gli stessi ingenui terrori del giovane fidanzato.
Eppure Paolino oggi non posso stringerti la mano, non posso accarezzarti la fronte e asciugarti il sudore che ti sta bagnando le guance, non posso reggerti la testa e sussurrarti che va tutto bene. Non posso aspettare accanto al letto di ospedale  il tuo risveglio e guardarti di notte mentre riposi.
Devo mendicare il favore di un medico benevolo che ,violando la legge dell'uomo che ci vuole figli di un Dio minore, mi dica delle tue condizioni.
Non siamo niente piú che mendicanti. Attendiamo l'elemosina di una cittadinanza piena.
Ci vogliono qui col palmo spiegato in attesa di qualche spiccio per comprarci la dignità, la loro dignità.
Io preferisco rimanere indegno, Paolino mio. Indegno ma pieno d'amore.