domenica 11 marzo 2018

Dopo il 4 Marzo.



Fino ad ora ho taciuto perché ho avuto poco tempo per scrivere e perché ho passato ore a metabolizzare l’accaduto. Non ho ancora ascoltato il pensiero dei compagni del mio Circolo pertanto ciò che scrivo resta nel perimetro della riflessione personale.

1.      Abbiamo perso ed è colpa nostra.

Personalmente credo che sia questo l’assunto da cui partire: il fatto che si tratti di una sconfitta rovinosa e che essa sia addebitabile, quasi per intero, all’incapacità del Centrosinistra di farsi interprete del suo tempo.
Lo so, è un’asserzione banale ma solo segnandoci questa frase su un post-it e tenendola sempre a mente in ognuna delle riflessioni che si aprono nei confronti che verranno, riusciremo a non perdere la bussola.
Qualche giorno fa leggevo sul Corriere un’analisi relativa alla scomparsa dei corpi intermedi che un tempo affollavano il Paese: questi sono andati progressivamente sparendo a beneficio di un sempre più diffuso culto dell’individualità. E’ chiaro che si tratta di un fenomeno globale e non scopriamo nulla di nuovo quando diciamo che i singoli, per quanto iperconnessi e costantemente in contatto, sono paradossalmente molto più soli e concentrati sulle proprie esistenze, senza una vocazione a declinarsi in una comunità. Questo lento scivolare verso l’individualismo ha chiaramente interessato la politica e le politiche non solo di questo Paese: i Circoli si sono spopolati e ci siamo ritrovati a “parlarci addosso”, tra noi e molto spesso di noi. In maniera del tutto autoreferenziale, mentre fuori si faceva strada un esercito di uomini soli, abbiamo pensato che bastasse riunirsi una o due volte al mese nelle nostre sedi per ascoltare le pontificazioni del capobastone di turno, agganciato da questo o quell’esponente di partito.
Abbiamo smesso di farci interpreti della realtà e il carrierismo ha iniziato ad avere la meglio, quasi ovunque e quasi ad ogni livello. Così è nata ed è prosperata una classe dirigente sovente inadeguata, tutta ammaliata dal potere per il potere.
Quando alcuni tra questi dirigenti, nei giorni scorsi, hanno iniziato a condividere la notizia delle (vere o no) file ai Caf per ottenere il Reddito di cittadinanza, mi sono sentito piccolo piccolo. Quanta miserabile pochezza, quanta vergognosa distanza: siamo diventati un’orda di presuntuosetti senza più empatia, allevati tutti (dal più piccolo al più grande) nella cultura dello sberleffo facile e della battuta altezzosa.
Le ragioni della sconfitta del Centrosinistra sono tante e profonde, così trasversali da non potersi riassumere in pochi manuali, pertanto queste poche righe non possono certo ambire ad esaurirne l’esposizione. Non basterà un congresso e una giornata ai Gazebo per ricostruire questa landa di macerie, non basterà cambiare carro per aggrapparsi alla speranza che il nuovo condottiero sbandi meno e si possa rimanere in piedi. Forse, azzardo, sarebbe il caso, anche in vista delle prossime elezioni europee, di aprire una riflessione con tutte le Sinistre in Europa, capirsi e capire dove va il mondo, coscienti che il 900 è volato via e marciare in ordine sparso come cento colonnelli di un esercito stanco e sconfitto ha poco o nessun senso.


2.      Governo si, governo no?

La posizione assunta dal Segretario uscente, all’atto di annunciare le dimissioni, è stata molto chiara: NO ad ogni prospettiva che veda il PD coinvolto in accordi per il Governo, SI ad un’opposizione ferma.
L’analisi è davvero semplice: 1) il Movimento 5 Stelle non ha fatto altro che proporsi come pars destruens nei cinque anni appena trascorsi; 2) le nostre proposte programmatiche non sono sovrapponibili e per molti aspetti neppure limitrofe; 3) abbiamo bisogno di opposizione per rigenerarci; 4) facciano il Governo i due vincitori.
Ora, per quanto condivida l’impianto di questa analisi le cose sono, come sempre, un po’ più complesse.
Il primo dato da considerare è che, dopo il Referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016, il sistema politico per una serie di ragioni ha deciso di dotarsi di una legge elettorale sostanzialmente proporzionale. Quest’ultima, per definizione, sfavorisce il bipolarismo ma soprattutto, all’esito delle tornate elettorali, non produce mai un vincitore che governa e uno sconfitto che sta in panchina. Il Rosatellum bis ha generato dei posizionamenti, ciascun partito ha raggiunto un risultato più o meno soddisfacente e tutti (tutti!) sono parte del gioco che si apre in questa fase. D’altronde questo lo sapevamo e non possiamo oggi nasconderci dietro il giochino facile maggioranza/opposizione che è tutto tipico di un sistema maggioritario.
Altra illusione prodotta dal Rosatellum bis è quella delle coalizioni, fatte per correre unite in campagna elettorale, pronte a disfarsi un secondo dopo in Parlamento. Difatti, nel segreto dell’urna, ciascuno di noi era chiamato a barrare il simbolo del Partito, non certo quello della coalizione (peraltro inesistente a differenza di quanto accadeva negli anni ’90). Pertanto, una volta insediatosi il Parlamento della XVIII Legislatura, il solo dato di cui dovremo tenere conto e di cui, giocoforza, terrà conto il Capo dello Stato è quello della consistenza dei Gruppi Parlamentari dei singoli Partiti.
Al netto di affascinanti cartine colorate e roboanti rivendicazioni, la matematica parla chiaro: sia alla Camera che al Senato, il primo Gruppo Parlamentare sarà quello del Movimento 5 Stelle e il secondo quello del Partito Democratico.
Sic stantibus rebus, può il PD tirarsi fuori da ogni responsabilità?
Secondo me No.
Il secondo dato che viene in gioco è tutto politico.
Da un lato non possiamo ignorare che le forze conservatrici rappresentano una parte consistente delle scelte dell’elettorato nella non omogeneità della loro proposta politica, dall’altro le sfide che ha davanti il Centrosinistra, come dicevamo sopra, sono talmente complesse da non consentirgli di sacrificarsi alla causa protempore del Governo. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che, arrivato primo, ha tutto il diritto di governare.
Che fare quindi?
Posto che le soluzioni che appronterà Mattarella sono, ad oggi, imperscrutabili, penso che la neonata Terza Repubblica debba attingere a piene mani dalle prassi della Prima Repubblica.
Siamo a quarant’anni dai fatti che portarono all’assassinio di Aldo Moro, era il 1978 e due anni prima era nato il Governo Andreotti III in un quadro politico complesso.
Allora, il Pci di Enrico Berlinguer acconsentì alla nascita di un monocolore DC mediante quella che lo stesso Andreotti, nel suo discorso al Parlamento, battezzò come la “non sfiducia”.



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