Avevo diciotto anni, bho forse li ho ancora, bho forse non li ho mai avuti.
Era Agosto, uno degli ultimi giorni di un Agosto bellissimo, non faceva più così caldo come nei giorni precedenti, sembrava che stesse venendo l’autunno , ma era troppo presto perché venisse, forse faceva solo più fresco. Avevo avuto la febbre per una settimana, era stato terribile , non l’avevo avuta mai così alta,quella febbre era stato il suggello di un’estate già rovente.
Ogni storia d’amore ha due protagonisti , questa ne ha di più ,tanti confidenti veri o presunti, tanti impiccioni, di questi …pochi presunti .
Il mio primo ricordo è lontano, tanto ma non troppo. Risale al periodo in cui al cinema avevano da poco smesso di dare Baaria, quel bel film di Tornatore ; una sera uscivamo dalla sala e sentii per la prima volta parlare di Bob, il soprannome non era familiare, rievocava un cane , un animale di compagnia se non qualcosa di simile, insomma stuzzicava la mia civetteria , e io , come è noto di civetteria ne ho tanta, qualcuna la chiama caperaggine ma il lettore d’ora in poi la conoscerà come civetteria.Quella sera c’era vento, io m’avvolgevo il bavero del cappotto , indossavo quello nero abbastanza elegante, continuavo a chiedermi chi fosse quello di cui stessero parlando Francesca , la ciucciuettola del gruppo, e la graziosa Gaia, confidente di una vita di Chiara, la protagonista femminile. Come al solito a stuzzicare
la mia voglia di conoscere fu Francesca, per quello strano meccanismo che porta la gente che
non vuol far sapere a fare in modo che gli altri sappiano e anche più velocemente.
Naturalmente avevo capito che a poco sarebbe valso insistere per conoscere l’identità che mi
nascondevano, m’avrebbero raccontato solo invenzioni, io lo capii e iniziai a minacciare.
(dimenticavo di riferire al lettore che in questa storia ci sarà , talora, in modo evanescente
la presenza d’una figura , non troppo definita , ciò per il suo carattere, bè sappia il mio
lettore che il suo nome è Roberta).
Le mie insistenze e di pari passo le minacce si facevano ben maggiori di giorno in giorno,
compresi che era necessario iniziare ad indagare da solo, ma presto avrei capito che cercavo
troppo oltre , che la sorpresa, mi passerete il termine , la tenevo sotto il naso. La fantasia
andava lontana, le pensai tutte, amici della sorella di Francesca, bei fusti di altre classi,
qualche mezzo fusto della nostra , la civetteria che mi appartiene mi portò a pensare a me
medesimo, ma solo per pochi secondi , poi allontanai subito il tetro calice. L’occasione
arrivò il sabato pomeriggio, giorno in cui ero solito tenere le lezioni di latino , quel
pomeriggio era il turno di Chiara, lei arrivò puntuale come sempre e io scocciato come sempre
iniziai a spiegare qualche inutile argomento di grammatica misto alla bella letteratura
classica, ma già avevo ordito le trame, mentre lei scriveva io impugnai il cellulare , il suo,
e inviai a Gaia un messaggio che aveva in parentesi, ora non ricordo se fosse più
semplicemente distaccata dal resto una E iniziale di Ernesto, insomma accesi la miccia e
aspettai che mi portasse alla bomba. Sempre per quel principio secondo il quale è la gente a
portarti per mano a ciò che vuole nascondere compresi dagli atteggiamenti che Bob era Ernesto.
Ma la dichiarazione plateale avvenne la sera del compleanno di Gaia, or bene , quella sera il
compagno Bella, con la nota bonaria spavalderia, fece il nome di Ernesto e vicino quello di
Chiara…apriti cielo…ero stato io ad aver messo in subbuglio l’ordine di Bengodi, ero stato io
l’informatore .Il lettore confiderà nella bontà di chi ora regge la penna , e crederà , voglio
sperarlo, che dalla mia bocca non partì nulla per arrivare a quella del beneamato Bella.
Insomma da quella sera si seppe e se già prima si sapeva fu manifesto e se già lo era
almeno demmo spettacolo.
Come è noto spesso accade che il tempo passa e noi lo facciam passare tentando di mettere la
polvere sotto il tappeto e sistemando le bomboniere dei matrimoni passati, e fu così che tra
smentite continue, noncuranze reciproche , a mio dire …mai vere del tutto, qualche mese passò,
ma l’ardore si sa , quello la polvere non lo appanna e le bomboniere non lo appesantiscono.
Senza dubbio uno degli elementi che più di ogni altri hanno contribuito al nascere e
all’evolversi di questa storia furono i video che eravamo soliti realizzare per i compleanni
della maggiore età; lettore mio mi concederai qui un nuovo momento di civetteria casareccia,
di bonaria rivendicazione, che fa sì ch’io possa dire d’aver un merito in questa querelle
amorosa, ovvero …anche il video fu galeotto. Insomma ore ed ore trascorse a montare , girare,
dirigere…capirà il mio lettore che furono quelle ore ben spese per l’economia della patria
nostra.
Il quinto anno di liceo è senza dubbio stato uno dei più faticosi e quindi più impegnati , in
verità nessuno dei due protagonisti si è mai lasciato prendere dagli impegni di matrice
scolastica con tanto coinvolgimento, tuttavia i mesi trascorrevano tra un compito, un gruppo
di matematica, mezzo di latino e trecento pagine di italiano alla volta, poi venne Praga.
Ogni viaggio è una scoperta , e questo lo fu in tanti sensi , per molti sensi.
Partimmo in marzo, o almeno così ricordo , raggiungemmo la città in pullman ma questo al
lettore poco interessa perché durante il tragitto il protagonista nostro tenne più all’amore
del compagno di sempre, Giovanni, che a quello di Chiara, per la verità fino ad ora
spasimante, nemmeno tanto velata, nemmeno tanto ricambiata, e forse nemmeno tanto.
L’albergo era orrendo per mille aspetti ma meraviglioso per almeno uno …consentiva
all’inciucio di viaggiare ad una velocità straordinaria, molti caratterizzarono quella gita…il
nostro è meno noto ai più ma sicuramente più enigmatico. Una sera chi vi scrive era nella sua
stanza , sul letto immediatamente prospiciente il mio erano stesi Ernesto e Francesca, non
vagheggi il lettore, semplicemente parlavano, ex abrupto sulla soglia della porta compare la
tetra figura di Chiara che pronuncia parole tanto eloquenti quanto criptiche, sembrerà un
ossimoro ma fu così , : “Ernesto, comunque grazie”.
Quella sera compresi che qualcosa sarebbe cambiato, il significato di quelle parole non sarà
mai interpretato del tutto , ma facilmente si comprese che avrebbero segnato una svolta, o
forse stuzzicarono semplicemente la mia civetteria. Chiara tornava in campo. Poi venne Aprile
, poi Maggio e nel frattempo sembrava che tutto scorresse come al solito, come il lettore avrà
compreso il mio non è un racconto di introspezione, probabilmente non sarei capace di
scendere a fondo negli abissi dell’umana indole , o più probabilmente mi interessa la carne
della storia, quella carne da macellaro che sta sulla bocca delle signore quando escono dalla
messa della sera.
Con la fine delle lezioni venne l’esame e con l’esame la libertà. Ecco questo fu il tempo in
cui la storia ebbe modo di maturare e le trame di infittirsi, i giorni trascorrevano ricchi
d’uscite, ma sappia il mio lettore che già nei giorni di preparazione all’esame si erano fatti
frequenti gli incontri tra i nostri due , comunque in quei giorni dopo l’esame s’usciva e
s’usciva parecchio. La Brocca , una cinquecento bianca , macchina di Chiara, na scassarola
belga, fu compagna di queste uscite estive prima che arrivasse Dumbo, un bel elefantino della
Lancia che subentrò con la patente di Ernesto dopo i tre giorni trascorsi , nell’immediato
postesame a Sapri.
Quei tre giorni furono la svolta della nostra storiella, faceva caldo, era il luglio più caldo
che io ricordassi e poi eravamo stanchi, tanto , troppo, e quei giorni furono meravigliosi,
non furnono molti ma intensi. Il mare , il sole, il cibo, la Signora Sofia, indimenticabile
materna confidente e accompagnatrice strenua d’un viaggio durato cinque anni: fu insomma in
quei giorni che Ernesto e Chiara presero a stare più vicini, forse troppo e noi tutti
comprendemmo che era fatta, per entrambi non più solo per Cicco, il nome che bonariamente
affibbiammo a Chiara illo tempore.
I due erano stranamente e chimicamente compatibili, le intemperanze della giovine si lenirono
all’arrivo del baldanzoso Ernesto, furono quelli i giorni di focose allusioni, e indiscreti
sguardi ma niente di più lettore mio, allora si campava di sole parole, ma fu in quel caos che
la situazione prese la piega giusta, mentre io magnavo crepes e hot-dog.
Tornammo, perche dai viaggi si torna sempre , purtroppo o per fortuna, qui le uscite si fecero
maggiori e di pari passo l’avvicinamento tra i due , in verità , caro lettore a me parve un
evento univoco che partiva e finiva su Chiara, forse non vedevo e forse m’aspettavo di vedere
altro che non potevo , Ernesto non ha l’indole del tromber de femme , lui è un buon comunista
mascherato da cattolico, lui la vittoria se la va cercando pian piano e così facendo la ha
già in tasca, e lui di averla già lo sa ed è per questo che sembra non preoccuparsi , ma io
lettore mio so più casareccio e cerco la carne da spozzoliare e lì carne non ne trovavo.
Vennero i giorni dei corsi di preparazione ai tests di Medicina , c’è ne fu uno che la mia
memoria conserverà sempre. Ci recammo con Alessandra, mia cara amica e di civetteria compagna,
e Ernesto ai corsi di preparazione, rimanemmo a Napoli per il pranzo, la cornice era
fantastica, mi ricordava il mio viaggio a Parigi, raggiungemmo una delle zone alte della città
e lì prendemmo una funicolare per raggiungere le assolate strade di quella Napoli più vicina
al mare, io camminavo , mi guardavo intorno ammirato, per il paesaggio e per le vetrine, il
sole scottava e l’asfalto cuoceva le strade, girammo un angolo, c’era una graziosa rosticceria
ricordo il profumo di fritto e la gente stipata, un tizio con i pantaloni chiari e la giacca
di lino che scendeva dallo scuter, poi ricordo ancora un’oziosa discussione senza senso
oggettivo, una delle tante, sui licei classici di Napoli, tra tante chiacchiere, per la verità
le loro furono poche , io e i due raggiungemmo la radiosa via Caracciolo, eravamo di fronte
al mare e a Castel dell’Ovo, mangiammo da “Ernesto e Ernesto”, io dovetti farmi prestare i
soldi perché l’uscita fu improvvisata. Compresi che qualcosa cambiava, forse era il caldo o
forse il mare o forse Napoli, ma Chiara s’avvicinava sempre più, il lettore ha ormai compreso
che gli avvicinamenti di Ernesto sono tanto impercettibili quanto rumorosi proprio perché
silenziosi. Girammo il castello e le terrazze , tentai di lasciarli soli ma non vi fu verso.
L’ultimo momento di quella giornata fu decisivo, aspettavamo il treno del ritorno, nella
stazione , seduta su una delle tante panchine in pietra che accompagnano i binari, Chiara presa da una stanchezza vera o presunta abbraccia Ernesto, s’appoggiava forse, fatto sta che muoveva i tentacoli.
Questi eventi nutrivano in modo esponenziale la mia civetteria che si sentiva rinvigorita come un tacchino natalizio farcito su per il culo di castagne, bello gonfio e dorato , mi sentivo ringalluzzire come non mai, ero in brodo di giuggiole, ma di quei brodi dolci e deliziosi, che ti inebriano e saziano allo stesso tempo, bene io lo bevevo e godevo come un bambino che si diverte con le macchinine sul parquet della cameretta. Chiamai la mia compagna d’inciucio: Alessandra. Convenimmo entrambi che lo smollamento di Chiara fosse eccessivo, insomma dopo mesi e mesi spesi ad attendere il tram che sembrava si fosse dimenticato di passare alla fermata Chiara cosa faceva??? Correva dietro il tram…no questo non era possibile. Doveva farsi desiderare. Doveva mettere il polpo a bollire per un po’, fargli odorare le violette da lontano, insomma il merletto si doveva veder ma non del tutto, le calze dovevano essere a rete ma la gonna non troppo alta!
Dovevamo intervenire.
Chiesi ad entrambi un colloquio in privato, Chiara me lo concesse. Ernesto a modo suo.
Era pomeriggio, lei aveva lasciato nella mia camera il suo portatile, venne per prenderlo e parlammo. Io mi sedetti sulla sedia che di solito hanno occupato i miei discepoli, lei su quella del maestro. Le dissi che le cose dovevano diventare più chiare, che certo non poteva continuare a smollarsi e vendere in saldi quella bella merce che si portava dietro, insomma doveva rincarare e tenere duro, non pensi a male il lettore.
Quella stessa sera decidemmo di trascorrerla ad un pub, non lontano da casa mia, c’erano i nostri due protagonisti, Roberta, io, ed Alessandra. Approfittammo d’un momento quello in cui Chiara andò al bagno per chiarire al buon Alessio le cose, chi conosce il nostro uomo sa che non è certo persona di molte parole e soprattutto di molte chiacchiere come il sottoscritto, spesso è sibillino ma deciso e dunque alle nostre insistenze civettuole rispose con un sonoro e accademico : “Conosco bene la psicologia femminile…”. Noi capimmo, lui anche…aspettammo.
L’estate era nel pieno, faceva sempre più caldo ma il paesino rimaneva ancora popolato , le belle vacanze mensili oramai non esistono più e pochi sono ancora quelli che ne hanno memoria o ne portano beneficio, e del popolo che ancora rimaneva in città facevamo parte anche noi , fatta eccezione per Gaia e Francesca, di cui come il lettore ha memoria , fummo ospiti. Insomma il caldo alimentava le uscite, i drink , gli aperitivi e le serate al fresco, ma , lettor mio il calore avvampava nei petti, e che petti. Decidemmo di spendere una delle ultime giornate prima del commiato per la vacanza al mare non lontano da qui in un parco acquatico. Chiara è per indole restia e dichiarò la sua volontà di non prendere parte al companatico, a cui oltre al sottoscritto appartenevano Ernesto, Giovanni ed Alessanfra. La mattinata si faceva avanti con poca decisione, il caldo non era eccessivo e il tempo non meraviglioso, alessia mi raggiunse a casa , parlammo , tra le altre cose, anche dei due nostri protagonisti, nel frattempo arrivò l’auto .
Era ferma , sulla strada davanti l’ingresso del vicolo, dentro , sul sedile posteriore era seduta Chiara. Ecco in quel momento una nuova scarica d’adrenalina di defilippiana memoria ci invase, prodigio non poteva essere, era carne e pure abbondante , era proprio quella di Chiara, il suggello era evidente, la trippa per l’inciucio abbondante, goloso il piatto di portata, goduriosa la situazione , imperdibile, irripetibile, straordinaria, galeotta , sorprendente, ghiotta, cicciosa , lettore mio, era quella la prima dichiarazione d’amore.
E poi venne il mare. La mia estate. Il mio Agosto.
Tornai per pochi giorni, ma abbastanza per capire cosa accadeva.
Il rapporto si era incredibilmente intensificato, le telefonate si erano fatte quotidiane , ogni sera si sentivano, ed erano le più o meno tipiche telefonate da fidanzati, in cui lui dice poco e lei…non molto di più. Ma qualcosa era cambiato, era cambiata Chiara. Non più la stessa, non con la tessa coerenza, non più lei, non più quella.
Tornai al mio Agosto. Al mio mare. Alla mia vacanza. Poi come ogni estate anche questa è finita, ritornai, in tempo per prendermi la febbre, e starmene al letto il necessario perchè le fila della vicenda si imbrogliassero e giungessero ad una volontaria fine. Non potevo sapere, i fumi della febbre mi prendevano e dalla calura estiva , quasi canicola lettore mio, che avvampava nessun fattorino giungeva a recapitar novelle. Ma la civetteria , si sa , è più arguta di qualunque mezzo, sa più di quanto riesca a conoscere la diplomazia , o forse, lettore mio, la diplomazia è una forma mascherata di civetteria, insomma sempre dei cazzi degli altri stiamo a parlà. E fu proprio essa , non appena s’apriron le bende a consentirmi di capire che la brezza s’era fatta vento, e l’impasto era cresciuto. E veniamo a ciò da cui è partita questa nostra storia ,lettore mio.
Chiara mi aveva proposto di accompagnarla alla stazione per prendere Antomio e Francesca che tornavano da Napoli, entrato in macchina compresi che qualcosa di strano c’era, in realtà lo avevo compreso la sera prima sulla community di face , fatto sta che nell’auto ballavano i sogni del giorno prima, siiii volavano li intorno, come lo zucchero filato, come il profumo di cannella, come quello di fragola , ma di quelle fragole dolci e morbide e zuccherine che improfumavano la cucina, perché l’amore sa di fragola e vaniglia, è dolce ma non troppo perché disgusti chi l’annusa, bè io lo sentivo, lo sentivo dai discorsi, quegli stessi che un tempo m’avevano fatto capire che nell’aria c’era Bob, ebbene ancora una volta la civetteria c’aveva azzeccato, c’era del marcio in Danimarca.
Protestai perché mi rendessero partecipe, molestai Chiara ma non ne ottenni niente, tornai a casa sconfitto ma consapevole che la battaglia non l’avevo persa. La giornata trascorse , come tante e come poche, con un libro e un notiziario, roba di sempre insomma, quella roba che sa di fresco e mai di stantio, si faceva sera , ma non era caldo, era uno degli ultimi giorni d’agosto , sembrava autunno ma non lo era o forse volevo che lo fosse, c’era un po’ di vento, un bel po’. Organizzai per la serata.
Sarebbe dovuto essere cinema, non lo fu. Entrai su face, lessi un commento di Chiara : “Quella torta era troppo buona”, ecco. Di nuovo l’estasi, di nuovo le giuggiole , le caramelle che volavano, il profumo di vaniglia e di fragola, era accaduto, si , era accaduto. Ora dovevo scendere in campo. Contattai Ernesto, come il lettore ha compreso , questo nostro figuro è un personaggio buono e mite , ben lontano dalla mia civetteria e bel lontano dall’inciucio, moderato e tranquillo, spesso troppo ma con un profilo nobile e buono, ecco egli non mi rispose davvero ; gli chiesi se ci fossero novità mi rispose : “bho…chiedi a lei”, ecco la conferma era arrivata, qualcosa era successo, Chiara lo confermò.
Quella sera era bellissima, scendemmo , Gaia con Grazia, Chiara con Noncuranza e io con Civetteria.
Rinunciammo da subito al cinema, la storia sarebbe stata un’altra. San Sebastiano non era affollatissima , anzi per le strade la gente era pochissima, poche le macchine , quasi nessuna, proprio come piace a me , proprio quando la cittadina è se stessa e non si veste di mille passanti, di mille voci, di mille volti e ognuno può darle quello che preferisce, tra gli alberi , i marciapiedi, le colonne, i negozi chiusi e i ristori aperti. Raggiungemmo le panchine, sotto gli alberi, non lontane dal comune, la luce veniva dai fari della strada. Ci sedemmo. Io cavalcioni, Chiara come la monaca di Monza nell’atto di confessarsi, e Gaia di frammezzo.
Il giorno prima la Tazza era partita, nel pomeriggio , nel caldo dell’ultimo agosto, c’era Francesca, Rosaria e Roberta, c’era Portici, il mare , gli scogli, c’era l’arrabbiatura finta d’una bellezza negata, c’era la giovinezza, la freschezza, il disincanto, c’era la solitudine, quella temporanea, fuggiasca, rapita al tempo. C’era uno scoglio. C’era Chiara, le gambe incrociate al petto, c’era la malizia, quel poco che basta per sentirsi donna, quel poco che basta perché sia donna davvero chi lo sente nel profondo e non chi svende la femminilità con la gonna alta e la vita da puttana; poi un abbraccio, poi le mani sugli occhi , poi la telefonata improvvisa d’un’amica di sempre, poi le mani sugli occhi, poi..poi …la mia civetteria cade perché qui c’è l’amore, e l’inciucio non resiste perché non ha niente da dire, da sputtanar, perchè muore sulle labbra d’un bacio voluto, ripetuto, cercato.
La brezza accarezza il tempo e accarezza il mare che si infrange su quegli scogli , mentre la Brocca riparte, e mentre un ultimo pescatore tende le canna all’acqua.
Viene la sera , viene il ricordo , viene il pensiero su un tempo che è finito ch’inizia , mentre il motore dell’auto riposa , e l’uomo sogna , perché è notte, e l’uomo è buono, e perché è agosto ma a me sembra già autunno.
troooooppo lunga...non lo letta
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