martedì 16 agosto 2011

Una fottuta storia d'amore. (parte1)


Quei mocciosi un giorno o l’altro l’avrebbero condotta al suicidio.
-Pezzi di merda, fottuti pezzi di merda!- pensava Margaret tornado da scuola.
I capelli continuavano a cadere, incessantemente ,impietosamente.
La sua vanità era andata a farsi benedire da qualche anno , da quando Paolo l’aveva lasciata. Abbandonata allo sfigato tavolo d’una finta trattoria , in mezzo ai quattro culi delle cameriere . Senza neppure pagare il conto.
L’aveva lasciata lì. Con le mani appicciacate e unte. Dopo essersela scopata sopra e sotto tutto il pomeriggio. Neppure il tempo d’un improperio. Neppure l’istante d’un maledetto vaffanculo.
S’era trovata sola.
 Infondo lo era sempre stata. Tutta la vita sola. Tutto il mondo intorno e lei a guardarlo, da sola. Ma le piaceva.
Il giorno che si scoprì incinta fu il più brutto della sua vita. Gaetano e Marco, due gemelli.
S’era trovata ad amarli, non sapeva perché , non sapeva come.
Dopo tutto s’era resa conto dell’impossibilità di non amarli, glieli aveva messi in pancia quel pezzo di merda di Paolo, col tempo però aveva finito col dimenticare quell’inconveniente. Nei primi tempi della separazione c’aveva pensato.
-E se li ammazzassi?, sarebbero più contenti tutti… un colpo a loro e poi l’ultimo a me , definitivo, la fine , bum, bum , bum!-
- E se poi non muoio? Vivrei coi sensi di colpa dentro una cella chissà dove-
Poi un giorno è cambiato tutto. Grazie a Gaetano.
Quel bimbo era incredibilmente strano. Stava seduto , per ore , a leggere, a rovinarsi gli occhi. Aveva una miopia tremenda già a tre anni.  Con Paolo parlavano tanto di Gaetano. Paolo diceva che sarebbe diventato gay. Ma Paolo era un maschilista scopatore.
Gli amici di lui raccontavano cose incredibili, spesso a Margaret veniva la nausea a pensare che era stata anche lei una puledra da cavalcare, una delle tante fighe che Paolo aveva sfondato. Così lui le chiamava , fighe da sfondare. E Margaret lo sapeva.
Da quando s’erano conosciuti però , lui sembrava cambiato. Sembrava appunto.
Gli amici di Pà lo vedevano diverso. Lui però in quelle schifose mutande attillate era rimasto sempre lo stesso. Quel fottuto arnese lo aveva reso schiavo per una vita.
Tant’è che dopo il matrimonio Margaret lo portò da un sessuologo.  Lui però era rimasto il bagnino della Versilia, dove se ne scopava una a notte.
Ergo non poteva sopportare le maniere gentili di Gaetano.
Un giorno lo aveva piazzato davanti a un film porno. Gae aveva solo dieci anni. Nella sua perversione voleva che quel bimbo ,solo un po’ introverso , dimostrasse la sua mascolinità. Per fortuna arrivò Margaret. La fine della loro storia era iniziata lì.


Il pezzo era da consegnare a mezzo giorno.
-E’ l’una  passata, cazzo!-
-Pezzi di merda, fottuti pezzi di merda!- da quando gli avevano affidato quell’inutile rubrica su quell’inutile settimanale per donne incinte stava uscendo pazzo. Era stato un incredibile salto di qualità. Fino a qualche giorno prima non aveva curato che la lista delle programmazioni televisive di un quotidiano del centr’Italia.
Paolo dopo aver fatto per anni il bell’imbusto a pagamento sulle spiagge della Toscana aveva messo la testa a posto e il pisello stretto tra le gambe dopo essersi fidanzato con una ragazza romana , una laureata in scienze dell’educazione , una maestra insomma.
Nel giro di qualche anno aveva preso il tesserino di giornalista e aveva iniziato a scrivere. Non se la cavava male, la scrittura era serrata, fitta , stringata ma armoniosa.
Come i suoi pensieri, lui diceva.
Un autore televisivo l’aveva notato , lo mandò a chiamare.
Iniziò a scrivere battute per copioni comici di un programma della tv nazionale.
 Un lavoro massacrante. Per vero il primo di una vita passata in riva al mare da maggio a settembre e d’inverno a fare il commesso da Gucci. Ce lo aveva piazzato il padre , vecchie conoscenze, una vita di botte di culo.
Poi era venuta Margaret , poi i figli, poi la separazione. E poiché le disgrazie non vengono mai da sole . Sua moglie s’era portata via oltre ai figli e un buon assegno mensile , ogni ispirazione.
L’ispirazione faticava a tornare in quella stanza di tre metri per due con cucina , tavolo rosicchiato dalle tarme , un divano letto e un cesso con  lavandino nell’angolo. Le pareti erano umide. Un triste residence sulla Tiburtina.
Settanta miniappartamenti tutti identici, duecento euro al mese acqua e luce compresi. Occupati per più della metà da padri separati, uomini falliti consegnati da un momento all’altro a una esistenza schifosa. Condannati a lavorare per mantenere una moglie e qualche moccioso cagasotto.
I soldi che guadagnava con la rivista per donne incinte se ne andavano tra affitto , assegno e le mazzette che ficcava nelle mutande delle ragazzine che di notte si portava nel lerciume della sua stanza.
A trent’anni s’era fumato la vita , i soldi, l’amore. Gli rimanevano Gaetano e Marco, forse solo Marco. Perché Gaetano lo odiava.
Quel gay di merda !gli veniva da urlare quando era ubriaco, dopo aver ficcato la lingua che sapeva d’alcool nella bocca dell’ultima mignotta.
Dopo Margaret era tornato alla vita della Versilia, alla vita di dieci anni prima , quella della sabbia tra i piedi, i bicchieri sempre pieni, della pelle tirata e scura, della carne fresca , del macello delle notti passate tra birre , vodka e sborrate.
Poi venivano i giorni di vuoto.
Quando si faceva prendere dalla gravità, cadendo sul divano unto del miniappartamento.
Assonnato, pensieroso, sconfitto.
Paolo non era un uomo stupido, era diventato schiavo dei suoi dolori , dei ricordi , delle ferite che portava sotto la pelle.
Ripensava alla sera in  cui s’era trascinato in una schifosa trattoria , aveva chiamato Margaret, voleva parlarle. Tra loro era finita da qualche mese  anzi lui voleva che fosse finita , senza decidere se ne era andato, senza dire che l’aveva amata o che mai l’aveva fatto. Lei gli aveva dato del tempo  per tornare quello del fidanzamento. Ma in pochi mesi aveva bruciato mezza vita dietro i culi di quattro brasiliane, nel letto con quelle minorenni sballate che incontrava ,seduceva,ammazzava nelle sue serate.
Aveva mandato tutto a fanculo quella sera. Il giorno dopo la vita  mandò a fanculo lui.
Con la faccia immersa nel ruvido della tappezzeria , con l’odore della polvere nelle narici, con il telecomando sotto la pancia a dare fastidio ,pensava a quando la vita l’aveva cambiato . A quando , come diceva lui, gli aveva messo il cazzo tra le mani dicendo fanne un capolavoro.
Paolo veniva dalla provincia ,da un pesello sul mare della Toscana.
Da piccolo portava gli occhiali, si era mantenuto magro ed esile fino ai diciassette anni , assomigliava molto a quel figlio che avrebbe odiato.
Una sera d’agosto era sceso  , come era solito fare  d’estate , per sedersi sul molo e guardare il mare.  Sul pontile i quattro ventenni sfigati di Sant’Erminio lo avevano strattonato e sollevato di peso. Lo avevano cacciato dietro uno scoglio.
L’insultarono, gli sputarono addosso. Lo chiamavano verginella. E uno dopo l’altro abusarono di lui. Tornò a casa sanguinante  ma tacque.
Passò la notte con il sapore del sangue nella bocca. Con la spina dorsale spezzata. Con il culo spaccato.
Un mese dopo scappò da Sant’Erminio.
Sarebbe tornato qualche anno dopo , con tre o quattro vite rovinate sulle spalle.



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