“Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.”
E’ il 26 Gennaio del 1994 quando l’imprenditore Berlusconi seppellisce definitivamente gli ultimi resti della Prima Repubblica. Il palazzinaro di Milano 2 e magnate della televisione privata rompe ogni schema. Senza alcun cursus honorum e senza alcuna esperienza o coscienza politica si presenta agli elettori,nel giro di due mesi fonda un nuovo partito e con il suo “Polo del Buon Governo” conquista la Penisola.
Si apre il ventennio berlusconiano.
Come è stato possibile?
Berlusconi ha rappresentato ,senza dubbio,l’uomo giusto al momento giusto.
Ha saputo , con maestria, cavalcare l’onda dell’antipolitica. Forte del dilagante disprezzo nutrito verso la classe dirigente (democristiana e socialista in primis) travolta da Tangentopoli, ha sedotto milioni di Italiani , raccontando loro ciò che essi volevano sentirsi dire.
Con la benedizione della Mammì , attraverso un’ingente operazione mediatica , quello che molti troppo sbrigativamente definirono il“partito di plastica” divenne l’ancora di salvezza in un Paese allo sbando. La Gioiosa macchina da guerra andò a farsi benedire. E Silvio arrivò a palazzo Chigi.
Oggi però la magia berlusconiana si è assopita. Il Cavaliere non è più il leader carismatico d’un tempo, anzi non è più un leader.
Tuttavia mentre a Roma si consuma la fine del Ventennio dalle nostre parti piccoli Berlusconi crescono.
In quella che molti ebbero a definire Piccola Svizzera, la Prima Repubblica non è mai tramontata. Nel Bengodi , infatti, vale il postulato che fu di Lavoisier : nulla si crea, nulla si distrugge , tutto si trasforma. Fatta salva qualche brillante eccezione il principio è (politicamente, beninteso) più che calzante.
Qualcuno infatti ha ,maliziosamente, rinominato la cittadina “Capassopoli”, in ragione degli oramai quattro mandati dell’attuale primo cittadino e delle molteplici investiture del ben noto padre. Sarebbe , però, intellettualmente onesto da parte di costoro chiedersi il perché di una tanto reiterata fiducia nei confronti dei medesimi rappresentanti. Ma soprassediamo.
L’ultima tornata elettorale ha portato con sé un nuovo soggetto politico. Ha consegnato alla storia della cittadina una sparigliante “discesa in campo”. Insomma da qualche mese anche Bengodi ha il suo Berlusconino (non si intenda il termine in senso irriverente! chi scrive vuol solo dire che il nostro homo novus di strada da fare ne ha ancora tanta).
Tutto , ma proprio tutto, riporta alla mente l’ascesa del ricco imprenditore milanese,un tempo palazzinaro oggi Presidente del Consiglio.
La ricetta è la stessa: pane, populismo e demagogia.
Che al Cavaliere de noantri manchino molte delle virtù dell’ispiratore Silvio è ben evidente. Prima tra tutte una certa retorica che gli studi di Giurisprudenza hanno assicurato al Primo Ministro. Ma , al di là della favella ,ciò che più preoccupa gli uomini di buona volontà è una tattica ,oramai tipica, del più becero berlusconismo importata dalle nostre parti:la sistematica distruzione e demonizzazione dell’avversario politico.
I più in questi mesi hanno assistito al rigurgito di un’antica tradizione berlusconiana , la cosiddetta propaganda a tappeto. Se il Berlusconi dei primi tempi fece della tivù il veicolo prediletto per entrare senza bussare nelle case degli Italiani , propinando a manca e a destra mielosissimi spot che ingenerarono presso i più deboli la venerazione del leader, altrettanto tenta l’opposizione alla giunta capassiana. Con più modesti mezzi, s’avvale della pubblica cartellonistica e di uno spin doctor tuttofare. Ogni mossa del Capo è mediaticamente curata, costruita e data in pasto. La retorica di regime racconta ai lettori e agli internauti , più o meno consapevoli, ciò che essi vogliono sentirsi dire proprio come accadeva agli Italiani del novantaquattro.
La sfiducia verso le istituzioni attecchisce , ormai, in ogni dove nel Bel Paese e da qualche tempo , forse fisiologicamente,sortisce i suoi effetti anche nella Piccola Svizzera .Ciò unito allo sport nazionale del qualunquismo e del disfattismo fa il resto.
Essenziale diventa la strategia dell’attacco. Poco importano i contenuti. L’importante è che s’attacchi. E’ questo da sempre l’urlo di battaglia della politica mediatica.
Quando questa dimensione della politica entra nelle assemblee elettive gli effetti sono ,però,dirompenti.
Anche la sala consiliare diventa il palcoscenico perfetto di una tragicommedia avvilente e a tratti vergognosa. Il luogo delle istituzioni viene asservito alle necessità propagandistiche. Il rispetto della sede finisce calpestato dalle urla di una claque da stadio. S’ inveisce, si urla , si sbraita, s’insulta. Muore il dibattito, il confronto è stuprato dalle urla di un comizio nella sede sbagliata.
La politica dell’assalto e dell’inciucio non conosce limiti , non conosce rispetto per gli organi della Democrazia. Con arroganza pensa di potersi servire di essi per farne ciò che vuole. Quel che conta è abbattere l’avversario.
L’ultimo stadio è l’invocazione della piazza dove tutto può risolversi in una brodaglia indistinta di attacchi , di sfide a duello. Perché nella piazza si possono acquistare consapevolezze ma possono anche perdersene molte, perché nella piazza l’emotività travalica , quando questa è ridotta ad arena di uno scontro sterile, ogni ragionevole e pacata esigenza di confronto. Perchè ad esso si preferisce lo scontro.
Ebbene , la domanda è : possiamo permettere ciò?
La deriva è sotto gli occhi di chi abbia un minimo di consapevolezza storica. Basta guardare agli ultimi anni di questa Seconda Repubblica per comprendere quel che rischiamo.
Il caos. Un enorme gioco al massacro senza ritorno.
Il Berlusconino de noantri , con scarse competenze e nullo senso delle istituzioni ,rischia di trascinare San Sebastiano (e diciamolo!) , con gli strumenti che furono di Berlusconi senior ,allo scontro totale. L’obbiettivo è quello di creare terra bruciata perché anche il nostro Cavaliere in erba possa avere il suo novantaquattro.
E le regole democratiche ? L’investitura popolare? Tutte balle.
(Certo ,però, che deve essere un duro lavoro quello dello spin doctor costretto a far da balia a chi da grande vuole fare di mestiere Berlusconi. Aggiustare il tiro delle esternazioni, curare l’immagine, scrivere dichiarazioni. Roba da duri insomma.)
Ieri ho letto che Berlusconi (quello vero) , parlando della brutale esecuzione dell’amico Gheddafi , avrebbe detto : Sic transit gloria mundi.
Interessante no?
Che abbia compiuto un atto di autoprofezia?
Se fossi un Berlusconi del domani io farei i debiti scongiuri.
P.S. Stuzzica la mia civetteria ( e non solo quella) indagare sulle origini e , se volete, i trascorsi imprenditoriali del Cavaliere di Bengodi. Così , per il gusto di verificare se tutti i Berlusconi prima della politica sono stati la stessa roba.
Scusi il lettore se insisto con la penna anche dopo il Post Scriptum.
Chi scrive si rivolge con gli ,spero simpatici ,appellativi (adottati per amore della scrittura allegra) al Consigliere Gennaro Manzo.
Quest’ultimo avrà la certezza che mi rivolgo alla sua persona e potrà , essendovi avvezzo, adottare tutti gli strumenti che l’ordinamento nostrano gli mette a disposizione per “tutelarsi”.
Nicola Mondini