Fino
ad ora ho taciuto perché ho avuto poco tempo per scrivere e perché ho passato
ore a metabolizzare l’accaduto. Non ho ancora ascoltato il pensiero dei
compagni del mio Circolo pertanto ciò che scrivo resta nel perimetro della
riflessione personale.
1. Abbiamo perso ed è colpa nostra.
Personalmente credo che sia questo l’assunto
da cui partire: il fatto che si tratti di una sconfitta rovinosa e che essa sia
addebitabile, quasi per intero, all’incapacità del Centrosinistra di farsi interprete
del suo tempo.
Lo so, è un’asserzione banale ma solo
segnandoci questa frase su un post-it e tenendola sempre a mente in ognuna
delle riflessioni che si aprono nei confronti che verranno, riusciremo a non
perdere la bussola.
Qualche giorno fa leggevo sul Corriere un’analisi relativa alla
scomparsa dei corpi intermedi che un tempo affollavano il Paese: questi sono
andati progressivamente sparendo a beneficio di un sempre più diffuso culto
dell’individualità. E’ chiaro che si tratta di un fenomeno globale e non
scopriamo nulla di nuovo quando diciamo che i singoli, per quanto iperconnessi
e costantemente in contatto, sono paradossalmente molto più soli e concentrati
sulle proprie esistenze, senza una vocazione a declinarsi in una comunità. Questo
lento scivolare verso l’individualismo ha chiaramente interessato la politica e
le politiche non solo di questo Paese: i Circoli si sono spopolati e ci siamo
ritrovati a “parlarci addosso”, tra noi e molto spesso di noi. In maniera del
tutto autoreferenziale, mentre fuori si faceva strada un esercito di uomini
soli, abbiamo pensato che bastasse riunirsi una o due volte al mese nelle
nostre sedi per ascoltare le pontificazioni del capobastone di turno,
agganciato da questo o quell’esponente di partito.
Abbiamo smesso di farci interpreti
della realtà e il carrierismo ha iniziato ad avere la meglio, quasi ovunque e
quasi ad ogni livello. Così è nata ed è prosperata una classe dirigente sovente
inadeguata, tutta ammaliata dal potere per il potere.
Quando alcuni tra questi dirigenti,
nei giorni scorsi, hanno iniziato a condividere la notizia delle (vere o no)
file ai Caf per ottenere il Reddito di cittadinanza, mi sono sentito piccolo
piccolo. Quanta miserabile pochezza, quanta vergognosa distanza: siamo
diventati un’orda di presuntuosetti senza più empatia, allevati tutti (dal più
piccolo al più grande) nella cultura dello sberleffo facile e della battuta
altezzosa.
Le ragioni della sconfitta del Centrosinistra
sono tante e profonde, così trasversali da non potersi riassumere in pochi manuali,
pertanto queste poche righe non possono certo ambire ad esaurirne l’esposizione.
Non basterà un congresso e una giornata ai Gazebo per ricostruire questa landa
di macerie, non basterà cambiare carro per aggrapparsi alla speranza che il
nuovo condottiero sbandi meno e si possa rimanere in piedi. Forse, azzardo,
sarebbe il caso, anche in vista delle prossime elezioni europee, di aprire una
riflessione con tutte le Sinistre in Europa, capirsi e capire dove va il mondo,
coscienti che il 900 è volato via e marciare in ordine sparso come cento colonnelli
di un esercito stanco e sconfitto ha poco o nessun senso.
2.
Governo si, governo
no?
La posizione assunta dal Segretario
uscente, all’atto di annunciare le dimissioni, è stata molto chiara: NO ad ogni
prospettiva che veda il PD coinvolto in accordi per il Governo, SI ad un’opposizione
ferma.
L’analisi è davvero semplice: 1) il Movimento
5 Stelle non ha fatto altro che proporsi come pars destruens nei cinque anni appena trascorsi; 2) le nostre proposte
programmatiche non sono sovrapponibili e per molti aspetti neppure limitrofe;
3) abbiamo bisogno di opposizione per rigenerarci; 4) facciano il Governo i due
vincitori.
Ora, per quanto condivida l’impianto
di questa analisi le cose sono, come sempre, un po’ più complesse.
Il primo dato da considerare è che,
dopo il Referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016, il sistema politico per una
serie di ragioni ha deciso di dotarsi di una legge elettorale sostanzialmente
proporzionale. Quest’ultima, per definizione, sfavorisce il bipolarismo ma
soprattutto, all’esito delle tornate elettorali, non produce mai un vincitore
che governa e uno sconfitto che sta in panchina. Il Rosatellum bis ha generato dei posizionamenti, ciascun partito ha
raggiunto un risultato più o meno soddisfacente e tutti (tutti!) sono parte del
gioco che si apre in questa fase. D’altronde questo lo sapevamo e non possiamo
oggi nasconderci dietro il giochino facile maggioranza/opposizione che è tutto
tipico di un sistema maggioritario.
Altra illusione prodotta dal Rosatellum bis è quella delle coalizioni,
fatte per correre unite in campagna elettorale, pronte a disfarsi un secondo
dopo in Parlamento. Difatti, nel segreto dell’urna, ciascuno di noi era
chiamato a barrare il simbolo del Partito, non certo quello della coalizione
(peraltro inesistente a differenza di quanto accadeva negli anni ’90). Pertanto,
una volta insediatosi il Parlamento della XVIII Legislatura, il solo dato di
cui dovremo tenere conto e di cui, giocoforza, terrà conto il Capo dello Stato
è quello della consistenza dei Gruppi Parlamentari dei singoli Partiti.
Al netto di affascinanti cartine
colorate e roboanti rivendicazioni, la matematica parla chiaro: sia alla Camera
che al Senato, il primo Gruppo Parlamentare sarà quello del Movimento 5 Stelle
e il secondo quello del Partito Democratico.
Sic
stantibus rebus, può il PD
tirarsi fuori da ogni responsabilità?
Secondo me No.
Il secondo dato che viene in gioco è
tutto politico.
Da un lato non possiamo ignorare che
le forze conservatrici rappresentano una parte consistente delle scelte dell’elettorato
nella non omogeneità della loro proposta politica, dall’altro le sfide che ha
davanti il Centrosinistra, come dicevamo sopra, sono talmente complesse da non
consentirgli di sacrificarsi alla causa protempore del Governo. Poi c’è il
Movimento 5 Stelle che, arrivato primo, ha tutto il diritto di governare.
Che fare quindi?
Posto che le soluzioni che appronterà
Mattarella sono, ad oggi, imperscrutabili, penso che la neonata Terza Repubblica debba attingere a piene
mani dalle prassi della Prima Repubblica.
Siamo a quarant’anni dai fatti che
portarono all’assassinio di Aldo Moro, era il 1978 e due anni prima era nato il
Governo Andreotti III in un quadro politico complesso.
Allora, il Pci di Enrico Berlinguer
acconsentì alla nascita di un monocolore DC mediante quella che lo stesso Andreotti,
nel suo discorso al Parlamento, battezzò come la “non sfiducia”.