giovedì 13 settembre 2012

Hank. La fine.

Qui trovate i primi due racconti :  http://nicolamondini.blogspot.it/2012_05_01_archive.html


 A Hank,
ai suoi principi,
a chi li ha sollecitati.


Sua madre entrò nella stanza prima che arrivassero tutti. Sgattaiolò oltre la soglia della porta e iniziò ad aggirarsi tra i due letti , le pile di libri e i dischi sparsi sul pavimento grigio. Tutto puzzava terribilmente di polvere e alcool. Sulla scrivania  che assomigliava più a un tavolo di fortuna pescato chissà dove non c’era che qualche penna e il pc portatile.
Sotto un pacchetto di sigarette semivuoto Hank aveva abbandonato un piccolo quaderno .
Furtiva lo infilò in borsa pochi secondi prima che suonassero alla porta.

***

Non potevo immaginare che li avrei visti per l’ultima volta quel giorno.
La casa era stata inondata dai parenti, una certa zia siciliana ultraottantenne ci aveva raggiunto. Aveva organizzato tutto mio padre, in fondo quella era stata la sua festa di laurea, non certo la mia. Avevo poco da festeggiare ma quel giorno era finita.
Li mandai a fare in culo la mattina dopo, portai via quasi tutto, sul tavolo della cucina lasciai il mio libretto universitario e un biglietto scritto a matita.

Grazie dei soldi spesi ma servirà più a voi. Con affetto Hank.

Quando raggiunsi la macchina trovai Francesca ad aspettarmi vicino alla portiera destra.
Appena la vidi compresi che sarebbe stato difficile convincerla a rimanere lì, da sola, in quel paese di provincia.
Io e Francesca ci eravamo fidanzati qualche mese dopo la sigaretta rubata. I miei non lo avevano mai saputo, pochi scoprirono la nostra relazione e io ne fui  contento.
Insomma quella mattina lei decise di partire con me .
Non so come i miei genitori reagirono alla mia scomparsa improvvisa, talvolta ho temuto che mia madre non avesse retto e si fosse ammazza, per quel che riguarda mio padre ero sicuro che purtroppo avrebbe attutito il colpo e in qualche modo sarebbe andato avanti.

***

Arrivammo a Milano dopo esserci fermati a metà strada, non avevo considerato che una vecchia Panda difficilmente avrebbe retto i chilometri che ci separavano dall’estremo nord del paese. Rimanemmo bloccati non lontano da Firenze, nel mezzo di una strada tra i campi.
A fatica conducemmo l’auto sul margine destro  per avere un riparo durante la notte. Quella fu l’occasione per tornare a fare l’amore con Francesca. Facemmo l’amore come mai prima era accaduto.
Non dormii quella notte. Vedevo Francesca , i campi , la strada deserta il cielo pieno di nuvole e vedevo la provincia che avevo abbandonato, ed ero felice ed ero triste insieme. Avevo consegnato a mio padre quello che aveva sempre voluto , la sua maledettissima laurea.
Ci affidammo all’autostop per arrivare a Santa Maria Novella per prendere il primo treno diretto a Milano.
Fu in quel treno che iniziai a scrivere questo diario.
Avevo agguantato questo quaderno rosso un istante prima di chiudere la porta di casa, lo tenevo conservato sulla scrivania della mia camera dal quarto ginnasio. Annotavo con perizia straordinaria alcune frasi delle canzoni che invadevano quella stanza quando restavo solo con la mia chitarra.
Decisi in quel treno che sarebbe stato il mio confidente almeno nei primi tempi della vita nuova.

 ***

Niente è come pensavo che fosse, tutto tradisce le mie aspettative anche Francesca, anche la chitarra versa in condizioni pietose. Tutto congiura. Ho quasi finito ogni risparmio e di lavoro neppure l’ombra.
Stamattina Francesca mi ha chiamato in cucina mentre prendevo il mio caffè davanti alla pagina degli annunci.
-Non possiamo campare così-
-Così come?-
-Come due esiliati-
-Non mi sento in esilio-
-Lo sei, sei un uomo senza prospettive Hank ,non hai più nulla, non hai una casa , questa non lo è e lo sai, avevi dei sogni e stanno morendo, hai quasi trent’anni e gli stessi rimorsi di quando ti ho conosciuto, non sai cosa vuoi da te , non lo hai mai saputo, combatti contro tutti ma non hai altri nemici che te stesso, io ti amo ma non basta-
-Perché mi hai seguito?-
-Non lo so più –
-E questi mesi insieme?-
-Non sono esistiti-
-Perché non vai via?-
-Non ho il coraggio-
-Mi fai schifo-
-Anche a te è mancato il coraggio-
-Ma non ho rimpianti-
-Si, li chiami illusioni-
-Vai via-
-Perché mi temi?-
-Vai via-
-Perché non ami più niente?-
-Vai via-
-Non ami più niente Hank-
Sono solo.

***

A trent’anni non ho nulla tra le mani.
Nulla che non appartenga alla famiglia delle illusioni, nulla che non avessi tra le mani ai tempi del liceo, nulla. Stamattina la sveglia è suonata alla solita ora,  suona alla solita ora da circa dieci anni o forse più.
Da un anno Vivo a Roma , in un appartamento a piano rialzato con altri due trentenni, Mario e Luca.
Non parlo con nessuno dei due , fanno troppe domande e Luca mi ricorda troppo mio padre.
Ho un impiego stabile da tre mesi: cuoco al McDonald’s  mentre  di giorno do ripetizioni di economia e diritto a prezzi stracciati.
Ho spedito circa duecento curricula, sostenuto una ventina di colloqui, dato via il culo tre o quattro volte per pagare l’affitto. I più attempati pagano meglio e s’accontentano di poco, così io mi faccio schifo di meno ed estinguo prima i miei debiti.
Ho fatto colazione . Caffè e tiramisù dell’esselunga. Ieri Mario ha festeggiato il suo compleanno, ha bussato alla porta della mia camera ed è entrato senza attendere una risposta , lo ho accolto nudo e con una canna nella mano destra , gli ho piantato il sinistro sul naso poi gli ho sottratto il tiramisù. Era entrato per offrirmene una fetta.
 Ho preso posto sul divano in cucina , ho controllato la posta e ho iniziato ad aspettare.
Aspetto ogni giorno dalle nove a l’una. Aspetto una telefonata, spero che qualcuno abbia letto il mio curriculum e intanto penso. Aspetto da sempre.
Trascorro le mie giornate aspettando.


***

Ho lasciato l’ultimo cliente sulla soglia della porta, ha pagato bene , almeno lui, almeno oggi.
L’ho conosciuto due mesi  fa in una chat erotica, dice di essere un imprenditore ma a me non interessa, l’importante è che paghi. Dice d’avermi trovato terribilmente dimagrito, lo sono.
Ho perso quindici chili, mi guardo allo specchio e posso contare le costole una ad una. Mi faccio schifo.
Ho la pelle del volto quasi giallastra e delle macchie sulla schiena ma quelle le nascondo con i cerotti, spero non si espandano, potrebbe essere la fine. Nessuno scoperebbe più.
Ieri ho venduto la chitarra, la collezione di dischi e una vecchia fotocamera. Ho conservato solo qualche vinile che mi aveva regalato Francesca. Ho pagato solo un terzo del mio debito.
So che mi riempiranno di botte.
La porta del bagno è divelta e una strana aria fresca passa attraverso la finestra, è quasi primavera ma ho un freddo terribile.
Mi sdraio sul tappeto davanti al lavandino e poggio la guancia sulla superficie gelida, spero di svegliarmi, sto cercando la mia strada da dieci anni e più ma temo di essermi perso, non ho più madre,non ho più vita mi è rimasto questo stupido quaderno e le mie dosi. Ma neppure tante.
Allungo il braccio verso il muro e agguanto una busta nera , il mio polso è quasi violaceo e la parte dal gomito in su sembra tumefatta. Ritiro il braccio, sono stanco, ho bisogno di farmi.
Mi accovaccio appoggiando la schiena al muro umido , tendo le gambe e sento l’ago penetrarmi nella carne.
E’ fatta. E’ finito. E’finito proprio tutto.
Mi alzo ma non riesco a reggermi in piedi. Cerco la chitarra. Io non ho più una chitarra. Dove sono i miei dischi? Li hai venduti Hank, non hai più i tuoi dischi. E il mio passato , hai venduto tutto.
La poltrona è ispida , è sporca, puzza, odora di sperma, odora di schifo.
Papàà! Urlo. Dove sei papà? Ti odio. Ti ho sempre odiato . E’tutta colpa tua. Sulla sedia in cucina sta seduta mia madre e piange. Io l’accarezzo ma lei non mi risponde. Vieni con me mamma! Vieni con me!Ti porto nella mia camera. Ti voglio bene mamma. Vieni a vedere i vetri appannati e la mia chitarra.
Francesca vuoi mettere un cd. Per favore. Fallo per me , l’ultimo poi vai via, poi scappi, magari scappo anche io, riprendiamo la nostra panda. Sarà ancora lì non lontano da Firenze.
E’tutto buio ma la musica parte. E’ancora lui, come una volta come sempre è ancora Kurt, si lamenta e io con lui.
Nessuno. Non c’è nessuno in questa casa Hank. Sei solo. Lo sei sempre stato. Mi sussurra. Non si convince che sta mentendo , lui mente e io lo so. Lui non sa che sono scappato dalla provincia , lui non lo sa .
Vivevo di notte io. Perché di notte vivono gli uomini che non sarebbero dovuti nascere. Io sono un mai nato , ma voi non lo sapete. E’ vero Francesca? Tu lo avevi capito.
Mi muovo sinuoso , come un serpente , come un rettile striscio e cambio la pelle. E il cuore fa tre battiti forti , bum, bum e ancora più forte bum!
Sono bagnato , sono fradicio : è quella notte sul terrazzo quando il fumo mi riempiva la testa, e intorno avevo la mia provincia di merda. Lì tutto muore , li niente nasce, lì non c’è posto per i diversi. Se non sei conforme sei un predestinato, predestinato alla morte, sei come Giuda e tutti ti additano e tutti ti guardano e tutti parlano e si pensano sapienti e vogliono impartirti la loro sapienza e tu non puoi niente se non fuggire, se non stare lontano e vivere di notte quando loro dormono o quando pensano di stare vivendo.
Alla mattina incontravo una bestia al mio tavolo, ho mangiato con lei.
Tu mi puoi capire, tu puoi ma ora si fa tutto freddo, e non vedo niente più che le mie tenebre e la mia malattia, non è vita. Chi nasce diverso è destinato a morire, non c’è spazio per noi, sono una puttana qualunque, non c’è spazio e neppure più tempo, non c’è più notte.
Vorrei tornare ai vent’anni e rinchiudermi nella mia camera, e rimanere li accovacciato come un bambino dimenticato dalla mamma nel parco, come un bambino abbandonato su una panchina io e i miei rimorsi e la mia vita e i miei sogni.
Non morire Hank. Ma io devo morire, non ha più senso , non conosco più giorni che non siano di dolore, e il dolore mi fa compagnia come un giocattolo , è rotto ma lo porto sempre con me.
Ora stai zitto Kurt, scusa, per favore, taci . Francesca fallo tacere. E sinuoso mi inoltro in questa sabbia e lascio un solco facile a scomparire e mi aggrappo all’ultima sedia della cucina mi volto verso il soffitto e il neon mi abbaglia e urlo e urlo e urlo e urlo e urlo. Troppo silenzio in queste ore, troppe voci nella vita passata.
Ogni sguardo al soffitto è una lama  che fende le palpebre , le mie pupille si dilatano e si restringono, come una danza tribale , al suono di mille tamburi mille amazzoni mi tengono in braccio , ma sento ancora più freddo. E’ la morte? E’ la morte, Francesca? E’ la morte, mamma?Mamma.
Mi avevi capito mamma. Lo avevi capito , dimmelo , non ci saranno nuove albe dimmelo. E sussurra di si, sussurra ancora si. Lo sapeva. Ecco l’ ultima felicità. Non provo più strazio, non ora. Lei lo sapeva, sapeva che sarei andato via prima o poi.
E a fatica chiudo ogni cosa e mentre sento il gelo, stacco la corrente e un rumore secco pervade l’aria. Buio. Dolce , tanto dolce mi penetra nelle narici l’odore del gas. Mi accovaccio , ecco mi riconosco riflesso, sono io , sono finalmente io, torno ad essere un feto e non soffro più.

***

Quando la polizia entrò in casa trovò la donna seduta al tavolo della cucina , stava iniziando a piovere ma ogni finestra era aperta. Ai suoi piedi giaceva accovacciato un ragazzo, le mani erano contratte in una forma innaturale, i capelli coprivano per metà un sorriso.

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