Volto dolce e increspato di fatica e amore,
il vezzo della sigaretta sospesa tra le dita nodose,
e passione e abbracci tra giravolte di fumo umide di parole amabili.
Di tutti e ciascuno, come ogni grande Maestro;
la quotidiana maternità del sorriso non spento.
Il soffice calore di famiglia che avvolge la mente al solo pensiero,
nella memoria i giorni più belli e il lavoro diletto di questi miei anni.
Ricordo la fatica d'esame e con l'abbraccio violento
parole dolcissime:
le custodisco e le consacro al vento,
le spinga dove il sereno ha dimora e non c'è che amore.
Sentinella incrollabile in un esercito di coccio.
Non insanabile assenza ma
infinita presenza.
Ma anch'io , se permettete, di quei tempi ero fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare, in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e buscheravano giù per torto e su per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori ne paresse nulla.
venerdì 4 ottobre 2013
giovedì 2 maggio 2013
La leggenda del Pirata. Di Giuseppe Di Giacomo.
Questa
è la storia
di un
tale che veste una parola
al di
là della sacra baldoria.
Non molti
ne avranno la memoria
e in
pochi han visto quel fuorilegge
scrutare
l’orizzonte sfuggendo alla legge
cullando
il sogno in cuor loro
di fuggire
dal gregge, una prigione
di
fatto al di là della legge.
Perché
oggi il pirata non solca i mari
e non
spiega le vele, di onde per la
strada
neanche l’ombra, ma questa
è una leggenda , lasciategli un suono
una carezza
o un’utopia
e via
sulla nave
almeno
quella non si compra.
Giuseppe Di Giacomo
Road Trippin
Your
smile is just a mirror for the sun
lunedì 18 febbraio 2013
Domenica voto.Con amore.
Domenica
voto.
Fondamentalmente
per la prima volta.
Voto
dopo l’ibernazione democratica, dopo l’era del grande smarrimento comune, del
disamore politico , del disinteresse sociale e di tutte le boiate simili con
cui ci hanno infarcito i sensi nell’ultimo decennio.
Sono
un moderato perché mi hanno istruito alla moderazione , insegnato alla
diplomazia , condotto all’equilibrio ma questa volta sono determinato all’estremismo.
Il
motivo è semplice: alle prossime elezioni non avrò più vent’anni.
Chi
come me è nato nei primi anni novanta vota oggi per la prima volta. E il primo
voto è un po’ come fare l’amore per la prima volta: nel
bene e nel male è un’esperienza travolgente. E’ un battesimo, un’iniziazione,
un traguardo e una partenza , apogeo e rinascita. Fuori dai troppi lirismi che
spesso mi travolgono , sono convinto di ciò: la nostra generazione porta sulle
spalle il fardello più pesante dal dopoguerra ad oggi.
E’
protagonista della scelta che non tornerà più.
Il
motivo è storico e anagrafico insieme.
I
ventenni primo repubblicani hanno avuto poco da scegliere per sessant’anni e poco
più, hanno vissuto in un sistema
bloccato, sotto il peso di una perenne convenzione
all’esclusione (per dirla con i politologi) che rendeva ogni voto dato alla
Sinistra (quella con la S maiuscola) un voto di protesta, incapace di condurre
la formazione politica dei sogni al Governo.
La
generazione di mio padre ha vissuto i propri vent’anni nella convinzione che al
Governo ci sarebbe andato questo o quel democristiano o , nel migliore dei
casi, qualche uomo moderatamente progressista in una compagine debitamente annacquata
. Un ventenne degli anni ottanta barrava la scheda appaltando il voto al
miglior baluardo per l’argine democristiano, appaltava la speranza nella
consapevolezza di non ottenere introiti ma con la convinzione di capitalizzare.
Di accumulare interessi non riscossi che per un fenomeno di anatocismo politico
sarebbero andati ai propri figli. Ma , bontà loro, quei figli sono diventati i
nipoti.
Poi
è caduto il Muro ma i ventenni di allora non hanno fatto in tempo a consumare
la loro rivoluzione che anche in Italia è crollato tutto: Bum!
Uno
dopo l’altro sono scomparsi tutti: i partiti buoni e i partiti cattivi, quelli
della domenica in chiesa e quelli del lunedì in fabbrica. Niente più sogni,
niente. Un intero capitale di voti centristi andò bruciato nel giro di qualche
settimana e quei voti che i ventenni primo repubblicani avevano messo da parte
nella speranza di conservali per i propri figli andarono perduti anch’essi.
Poi
fu la volta dei ventenni del ’94, figli dei ventenni vissuti al tempo della
democrazia bloccata.
Ma
da quell’ annus horribils c’è stato
poco da sperare per circa due decenni.
Gli
italiani hanno continuato a dividersi in guelfi e ghibellini, Montecchi e
Capuleti, Berlusconiani ed Antiberlusconiani. L’uomo di Arcore ha governato per
intervalla insaniae e ancora una volta ai nuovi votanti non restava che
appaltare la speranza all’argine migliore che, nella situazione meno tragica ,
ha retto il colpo per una manciata di mesi.
Ma
lo scorso Novembre è cambiato tutto.
Tredici
mesi fa , per complesse alchimie storiche, politiche ed economiche il paese è
entrato in un limbo fuori dal tempo, in una enorme e inusitata pausa di
riflessione , un gigantesco fermi tutti. Un attimo prima del fosso, quando
sulle braccia si sentiva già il vento ci siamo seduti e abbiamo iniziato ad
aspettare.
Come
tutti i fenomeni mediatici anche quello berlusconiano ha così esaurito la
propria forza propulsiva restando però a galla.
Ecco
che entra in scena la generazione di chi oggi vota per la prima volta. Siamo
tutti sulla soglia di una porta che nessuno vuole varcare perché nessuno ha la
forza di farlo , perché chi per tutta questa maledettissima seconda repubblica
ha sperato non vuole più combattere, perché
i ventenni del novantaquattro (con la buona pace di qualcuno) sono presi dallo
sconforto , hanno abbandonato il proprio voto in un orfanotrofio e non hanno il
coraggio di dichiararsene padri.
Vedete,
penso con convinzione che quella soglia oggi la possano varcare solo i ventenni perché
solo essi dispongono della forza necessaria, perché dispongono di un voto
nuovo, di un voto vergine. Puro, se volete.
Perché
per la prima volta dopo generazioni di appaltatori speranzosi non siamo
chiamati a scegliere per arginare la vittoria certa dell’antagonista di turno ma
per dare la spinta decisiva alla nostra vittoria.
Portiamo
sulle spalle i sogni dei nostri padri, abbiamo il dovere di riscuotere il
credito che per anni essi hanno accumulato credendo di avere perso, siamo
chiamati a dare voce ai ventenni che quando a Berlino cadeva il muro e nel
Mondo non esistevano più barriere assistevano inermi agli ultimi rivolgimenti
di un sistema corrotto e schifoso.
Per
la prima volta i ventenni non sono chiamati a votare contro. Siamo chiamati a
votare per.
Ecco
dunque che abbiamo la responsabilità più grande. Solo chi oggi vota per la
prima volta ha le chiavi giuste per aprire la porta del Paese che abbiamo a
lungo sperato. Non so se oltre quella porta ci siano certezze, per vero non lo
penso neppure ma sono certo che sia necessario varcare la soglia. E il passo lo
possiamo compiere solo noi pienamente, liberamente e senza condizionamenti come
mai prima nella storia di questo Paese.
Ogni
prima volta genera timori.
Quando
si fa all’amore per la prima volta senza amarsi si teme che dopo venga l’amore
e quando si fa l’amore (per la prima volta) amandosi si teme che qualcosa vada
storto. Ma in entrambi i casi, al netto dell’errore statistico, la prima volta
resta indimenticabile.
Se
non amiamo ancora non dobbiamo temere di iniziare a farlo, chi non ama per
paura di soffrire è uno stolto o ha deciso deliberatamente di non vivere. Chi
si innamora, invece, dopo la sua prima volta ha varcato la soglia dell’attimo e
non conosce gioia più grande.
Non
abbiamo altra strada. Oggi più di ieri e , forse , più di domani.
Dobbiamo
spingerci oltre. E amare.
domenica 17 febbraio 2013
L'amore sporco degli uomini indegni.
La testa mi esploderà da un momento all'altro.
Sono ancora nudo. In bocca ho il sapore salino del bacio.
Paolo è in cucina ,prepara un panino.
Abbiamo appena fatto all'amore.
21 Ottobre 1999
Paolino mio, ti ricordi quel pomeriggio di quattordici anni fa? Avevamo fatto l'amore per la prima volta. Io per la prima in assoluto.
Avevo vent'anni e tu uno di più.
Non facevo altro che chiederti: mi ami? e quanto? Mi sentivo un imbecille. Ma tu con garbo e, riconosco oggi, con immensa pazienza, rispondevi: tanto,tantissimo.
La mia mente votata al raziocinio aveva perso ogni architettura ma quanto fu bello e incredibile riconoscermi così diverso da come mi ero pensato.
Ci incontrammo per caso e fu intendimento e ci amammo.
Venisti a casa in un pomeriggio durante le Feste di Natale, chiedesti di mio padre, io ti condussi da lui e tu gli stringesti la mano più forte di quanto eri solito fare(oggi so che ti diede forza) e ti presentasti dicendogli: piacere sono Paolo, il ragazzo di suo figlio.
Papà ti guardò fisso negli occhi ed esclamò: eppure ero convinto che a mio figlio piacessero i biondi. Quanta saggezza.
La sera che papà se ne è andato piangevi come un bimbo, piangevi forse più di me e mia sorella. Lui ti voleva tanto bene ma non te lo ha mai detto. Era un'uomo d'altri tempi eppure quando capì che ero perso di te non cercò ragioni; una sera peró mi prese una spalla mentre rientravo nella mia camera e chiese: Ma tu e Paolo...
Trascorse una manciata di secondi che parvero ad entrambi interminabili. Non ci fu bisogno di risposta.
Ci amavamo al mattino, ci amavamo di sera quando prendevo la penna e parlavo al mio diario per scriverti lettere che non avresti mai letto, quando ci accarezzavamo e le nostre mani percorrevano i fianchi , quando mi prendevi il braccio e lo stringevi forte per poi baciarmi e ci baciavamo intensamente fino a non respirare più, fino a quando il corpo chiedeva pietà.
Ci amavamo come si erano amati i nostri genitori e come si ameranno i nostri nipoti, come ama qualsiasi ventenne. I nostri cuori conoscevano le stesse acrobazie. I nostri pensieri s'ubriacavano alla stessa maniera.
Ma per chi ci guardava là fuori le nostre lune erano diverse, come lo erano le spiagge su cui trascorrevamo le notti insonni e i falò di ferragosto davanti a cui ci demmo mille baci. Era diversa pure la strada dove passeggiavamo e le nostre preoccupazioni si intrecciavano in mille evoluzioni e così i fiori che ti regalavo al compleanno e i dischi che ascoltavamo e i libri che leggevamo assieme.
Eppure, Paolino mio, io non conosco altro mondo che quello che vedo ogni giorno quando mi sveglio al mattino. Le lune degli amanti notturni sono tutte egualmente belle , soprattuto se piene come piacciono a noi. Sono tutte egualmente romantiche le spiagge al tramonto e i fuochi di notte e le passeggiate di pietra battuta finché rimangono impregnate di amore.
Come pretende l'altro uomo di misurare il mio amore e di farlo diverso, di amare meglio di quanto io sappia fare?
Amo come ama la moglie, come ama lo sposo. Il mio petto conosce le stesse ansie e gli stessi ingenui terrori del giovane fidanzato.
Eppure Paolino oggi non posso stringerti la mano, non posso accarezzarti la fronte e asciugarti il sudore che ti sta bagnando le guance, non posso reggerti la testa e sussurrarti che va tutto bene. Non posso aspettare accanto al letto di ospedale il tuo risveglio e guardarti di notte mentre riposi.
Devo mendicare il favore di un medico benevolo che ,violando la legge dell'uomo che ci vuole figli di un Dio minore, mi dica delle tue condizioni.
Non siamo niente piú che mendicanti. Attendiamo l'elemosina di una cittadinanza piena.
Ci vogliono qui col palmo spiegato in attesa di qualche spiccio per comprarci la dignità, la loro dignità.
Io preferisco rimanere indegno, Paolino mio. Indegno ma pieno d'amore.
Sono ancora nudo. In bocca ho il sapore salino del bacio.
Paolo è in cucina ,prepara un panino.
Abbiamo appena fatto all'amore.
21 Ottobre 1999
Paolino mio, ti ricordi quel pomeriggio di quattordici anni fa? Avevamo fatto l'amore per la prima volta. Io per la prima in assoluto.
Avevo vent'anni e tu uno di più.
Non facevo altro che chiederti: mi ami? e quanto? Mi sentivo un imbecille. Ma tu con garbo e, riconosco oggi, con immensa pazienza, rispondevi: tanto,tantissimo.
La mia mente votata al raziocinio aveva perso ogni architettura ma quanto fu bello e incredibile riconoscermi così diverso da come mi ero pensato.
Ci incontrammo per caso e fu intendimento e ci amammo.
Venisti a casa in un pomeriggio durante le Feste di Natale, chiedesti di mio padre, io ti condussi da lui e tu gli stringesti la mano più forte di quanto eri solito fare(oggi so che ti diede forza) e ti presentasti dicendogli: piacere sono Paolo, il ragazzo di suo figlio.
Papà ti guardò fisso negli occhi ed esclamò: eppure ero convinto che a mio figlio piacessero i biondi. Quanta saggezza.
La sera che papà se ne è andato piangevi come un bimbo, piangevi forse più di me e mia sorella. Lui ti voleva tanto bene ma non te lo ha mai detto. Era un'uomo d'altri tempi eppure quando capì che ero perso di te non cercò ragioni; una sera peró mi prese una spalla mentre rientravo nella mia camera e chiese: Ma tu e Paolo...
Trascorse una manciata di secondi che parvero ad entrambi interminabili. Non ci fu bisogno di risposta.
Ci amavamo al mattino, ci amavamo di sera quando prendevo la penna e parlavo al mio diario per scriverti lettere che non avresti mai letto, quando ci accarezzavamo e le nostre mani percorrevano i fianchi , quando mi prendevi il braccio e lo stringevi forte per poi baciarmi e ci baciavamo intensamente fino a non respirare più, fino a quando il corpo chiedeva pietà.
Ci amavamo come si erano amati i nostri genitori e come si ameranno i nostri nipoti, come ama qualsiasi ventenne. I nostri cuori conoscevano le stesse acrobazie. I nostri pensieri s'ubriacavano alla stessa maniera.
Ma per chi ci guardava là fuori le nostre lune erano diverse, come lo erano le spiagge su cui trascorrevamo le notti insonni e i falò di ferragosto davanti a cui ci demmo mille baci. Era diversa pure la strada dove passeggiavamo e le nostre preoccupazioni si intrecciavano in mille evoluzioni e così i fiori che ti regalavo al compleanno e i dischi che ascoltavamo e i libri che leggevamo assieme.
Eppure, Paolino mio, io non conosco altro mondo che quello che vedo ogni giorno quando mi sveglio al mattino. Le lune degli amanti notturni sono tutte egualmente belle , soprattuto se piene come piacciono a noi. Sono tutte egualmente romantiche le spiagge al tramonto e i fuochi di notte e le passeggiate di pietra battuta finché rimangono impregnate di amore.
Come pretende l'altro uomo di misurare il mio amore e di farlo diverso, di amare meglio di quanto io sappia fare?
Amo come ama la moglie, come ama lo sposo. Il mio petto conosce le stesse ansie e gli stessi ingenui terrori del giovane fidanzato.
Eppure Paolino oggi non posso stringerti la mano, non posso accarezzarti la fronte e asciugarti il sudore che ti sta bagnando le guance, non posso reggerti la testa e sussurrarti che va tutto bene. Non posso aspettare accanto al letto di ospedale il tuo risveglio e guardarti di notte mentre riposi.
Devo mendicare il favore di un medico benevolo che ,violando la legge dell'uomo che ci vuole figli di un Dio minore, mi dica delle tue condizioni.
Non siamo niente piú che mendicanti. Attendiamo l'elemosina di una cittadinanza piena.
Ci vogliono qui col palmo spiegato in attesa di qualche spiccio per comprarci la dignità, la loro dignità.
Io preferisco rimanere indegno, Paolino mio. Indegno ma pieno d'amore.
sabato 19 gennaio 2013
Solitudine.
La scrittura è un esercizio di solitudine, di solitudine estrema , travolgente e selvaggia. Capace di scuotere l'animo ma anche di rapirne l'essenza senza più restituirla al suo legittimo custode.
Luca è un ventenne pieno di rimpianti, uno che con i rimpianti ci mangia ogni giorno , uno che si è rassegnato a una vita noiosa.
Trascorre le giornate chiuso li dentro, nella camera con finestra all'ultimo piano del quarantatré di via Verdi. Non ha altro da fare che scrivere.
Alla sera dopo aver studiato si accovaccia sul letto nell'angolo e scrive , a volte per l'intera notte. Scrive per trovare risposte alle domande che non vuole porsi. Scrive della sua solitudine e dei due o tre amori che gli hanno scompigliato le giornate di qualche anno fa.
Luca si è convinto che la solitudine sia l'esercizio dei forti.Una volta ha scritto che essa è la virtù dei saggi e l'apoteosi di una vita eroica.
Tutte stronzate.
Chi vive solo come Luca è un precario dell'esistenza , uno con le emozioni a tempo determinato , uno che aspetta la sera per sentirsi meno solo perché a quell'ora il resto degli uomini lo è un po' di più.
A volte ha pensato di scappare via come quel ragazzo in cerca dell'Alaska ma sa di non averne la forza e allora si crogiola nel suo limbo.
Non cerca più la salvezza perchè nessuno può salvarlo, è certo che su questa terra ognuno vive concentrato sulla propria esistenza, arrovellato nel proprio microcosmo insolidale e grigio. Eppure gli avevano detto che nessuno si salva da solo.
Verso le tre ruba la solita sigaretta dal pacchetto del padre e la fuma, neppure tanto di nascosto, aggrappato alla balaustra e ogni volta gli viene in mente Ungaretti.
Accade spesso nella nostra vita che finiamo per dimenticare le cause perchè ci lasciamo rapire dagli effetti , i quali sono più comodi e il più delle volte ci assecondano al costo di mentirci.Sono quello che noi vogliamo che siano. Così Luca ha smesso di indagare le cause e ogni giorno interroga solo gli effetti della sua condizione consapevole che non oseranno mai contraddirlo.
Luca è un ventenne pieno di rimpianti, uno che con i rimpianti ci mangia ogni giorno , uno che si è rassegnato a una vita noiosa.
Trascorre le giornate chiuso li dentro, nella camera con finestra all'ultimo piano del quarantatré di via Verdi. Non ha altro da fare che scrivere.
Alla sera dopo aver studiato si accovaccia sul letto nell'angolo e scrive , a volte per l'intera notte. Scrive per trovare risposte alle domande che non vuole porsi. Scrive della sua solitudine e dei due o tre amori che gli hanno scompigliato le giornate di qualche anno fa.
Luca si è convinto che la solitudine sia l'esercizio dei forti.Una volta ha scritto che essa è la virtù dei saggi e l'apoteosi di una vita eroica.
Tutte stronzate.
Chi vive solo come Luca è un precario dell'esistenza , uno con le emozioni a tempo determinato , uno che aspetta la sera per sentirsi meno solo perché a quell'ora il resto degli uomini lo è un po' di più.
A volte ha pensato di scappare via come quel ragazzo in cerca dell'Alaska ma sa di non averne la forza e allora si crogiola nel suo limbo.
Non cerca più la salvezza perchè nessuno può salvarlo, è certo che su questa terra ognuno vive concentrato sulla propria esistenza, arrovellato nel proprio microcosmo insolidale e grigio. Eppure gli avevano detto che nessuno si salva da solo.
Verso le tre ruba la solita sigaretta dal pacchetto del padre e la fuma, neppure tanto di nascosto, aggrappato alla balaustra e ogni volta gli viene in mente Ungaretti.
Accade spesso nella nostra vita che finiamo per dimenticare le cause perchè ci lasciamo rapire dagli effetti , i quali sono più comodi e il più delle volte ci assecondano al costo di mentirci.Sono quello che noi vogliamo che siano. Così Luca ha smesso di indagare le cause e ogni giorno interroga solo gli effetti della sua condizione consapevole che non oseranno mai contraddirlo.
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