Ce n'est rien mourir. C'est affreux de ne pas vivre. V. Hugo
Il pullman è arrivato in ritardo. E’ stracolmo.
Per qualche momento penso di lasciarlo andare poi, con uno slancio improvviso , monto su. La borsa è terribilmente pesante , zeppa di libri.
I posti sono tutti occupati dagli studenti. Mi faccio largo tra i loro sguardi impauriti.
I loro occhi parlano e mi ricordano me. Uno di essi mi riconosce e con garbo mi cede il posto.
Io abbozzo un sorriso che somiglia a una smorfia , è quasi grottesca. Mi guardo riflesso nel finestrino e la mia immagine si sovrappone a quella delle auto e dei passanti.
- Ha una brutta cera , professore. Tutto bene?-
Guardo il mio inquisitore. S’aspetta una risposta. Inizio a scrutarlo.
Capisce prima che io possa parlare. Si scusa.
Il bus si va svuotando e io mi immergo in un ventaglio di fogli su cui ho scarabocchiato mille appunti. Fuori fa caldo e l’aria condizionata non impedisce al sudore di imperlarmi la fronte. Allento la cravatta e trovo ristoro.
Francesco non è stanco neppure dopo sei ore di lezione. Mi salta addosso e nonostante il caldo lo prendo sulle gambe. Gli chiedo come sia andata e lui mugugna. Ci siamo capiti , allora io evito di parlare e lui pure.
Si siede accanto a me e mi guarda. Scruta le mie labbra. Poi col suo ditino mi spinge il naso e inizia a mitragliare.
- Hai fumato? Hai fumato? Pà! Hai fumato! Avevi detto alla mamma che non avresti fumato, che stavi smettendo! Sei bugiardo!-
Francesco è un ispettore implacabile. Non provo neppure a replicare. Agguanto il manico della mia borsa e la porto fin su al mento. La stringo forte e snodo ancora un po’ la cravatta.
Ha degli occhi meravigliosi. La sua bellezza è indescrivibile. Sono gli stessi occhi di Elisa.
Mi scrutano , penetrano il mio sguardo e io resto nudo. Cerco parole e gesti per dirgli che l’amo ma non ne trovo. Elisa ha ragione , l’università ha gelato ogni istinto.
Quando eravamo studenti era tutto diverso. Vivevamo di passioni. Elisa le conserva tutte ,io le perdo ogni giorno.
- Sei triste, papà? Non dovresti. Oggi è una grande giornata!Oggi mi aiuti con il tema?-
Chino il capo in un cenno di assenso ma resto muto. Mio figlio mendica parole e io gliele nego. Mi viene da ridere ma dentro vorrei piangere perché di fuori non so farlo.
Quando il bus si ferma mi precipito sul marciapiede e cammino serrato verso casa. Intorno a me la città è una fornace . E’ quasi giugno e io sono avvolto in una camicia di flanella. Me ne sono accorto a metà mattinata. Elisa non mi aveva mai spiegato come riconoscere le camice e io non ho saputo imparare da solo.
Trovo un po’ di refrigerio nel cortile.
-Non ho avuto tempo di preparare nulla. A Francesco preparo della pasta , per noi andrà bene un panino-
Mi stendo sul divano, la mia testa sprofonda tra i cuscini. I miei sensi sono ovattati. Sento lontano il vociare della strada affollata su cui si affaccia la casa.
Elisa insegna molto meglio di me. Lei conquista i suoi allievi , io , nella mia vita, non ho conquistato che professori. Quando ottenni la cattedra lei mi disse fulminea : “Non sarai mai un grande professore, l’insegnamento non fa per te. Continua a studiare. Ti ricorderanno per i tuoi libri.” Aveva ragione.
Mi rimetto in piedi e mi guardo in torno , sono assalito dal gelo di questa casa. Fuori è primavera mentre qui dentro l’inverno non finisce mai .Torno a sedere sul divano. Agguanto un cd che m’ha regalato mia sorella e quando la musica parte finalmente trovo il coraggio di parlare a Francesco. E a Elisa.
Ci sono voluti due anni e tre mesi. Due anni e tre mesi perché tornassi a rivolgervi la parola. Sono sprofondato quando è accaduto. Perché lo hai fatto ? Se vuoi ti mostro il ritaglio di giornale. Perché non m’hai svegliato? Perché non ne abbiamo parlato?
Non mi amavi? Se non mi amavi avevi il dovere di dirmelo. E perché hai portato Francesco con te? Ti avevo consacrato i miei giorni. Forse esagero, lo so. Ma lo sai che sono fatto così, ho sbagliato, t’ho chiesto scusa ma tu hai sottratto ogni impulso alla mia anima.
Francesco, non so perché la mamma si sia comportata così. Lei t’ha sempre voluto un gran bene. Ne vuoi al tuo papà? Rispondetemi. Vi prego ,rispondetemi.
Rispondetemi!
Le mie urla vagano tra le stanze gelide , sono orfane. Non vengono più dalla mente e neppure il cuore le rivendica. Sono le urla di un pazzo. Sono impazzito , lo so. Lo sento.
Mi amate? . Non ti amano.
Elisa mi hai mai amato? E tu Francesco?. Non ti hanno mai amato, mai , non chiedere oltre.
Zitto. Fai rispondere loro. Mi amate?
Il vostro silenzio mi sta consumando. Mi consuma da oltre due anni. Voi eravate per me l’amore. E la ragione unica in cui scovavo la vita. E ora questo silenzio mi logora ogni giorno e ogni giorno di più.
Perché non mi avete portato con voi? Io qua non posso resistere. Rispondetemi.
La prosa del giornalista è terribilmente asciutta. Forse troppo. L’articolo che il professore conserva lascia poco spazio alle emozioni. E’ cruda cronaca nera.
Recita: […] sono stati i passanti a riconoscere i due corpi già cadaveri. Quello della giovane donna e del bambino. Morti entrambi sul colpo, sono precipitati dal balcone della casa in cui si erano da poco trasferiti. La prima ipotesi è quella del suicidio.
Il Professore aveva imparato una cosa. La morte è un fenomeno strano. Trascina con sé altre vite , dando inizio a tante nuove morti . Per ogni vita che finisce altre due o tre iniziano a consumarsi , sono le vite degli affetti più cari a chi se ne è andato. Ecco ,la morte di questi inizia allora. L’animo si consuma, come un tizzone che si fa sempre più piccolo. Solo i più forti riescono a sanguinare meno, a conservarsi e non consumarsi. Gli uomini d’amore , in genere, non riescono a non consumarsi.
(Avevo in corpo questa storia da tempo. Temevo di darle vita, non volevo che le mie parole potessero invadere storie vere, oltraggiare la memoria e la sensibilità di qualcuno.
Se così è stato il mio cure vi chiede perdono.)