Figlio, spero un giorno mio. Figlio.
Non ho carezzato le tue braccia e mai il tuo capo e mai le tue mani. Ho visto le tue ore col bieco sguardo delle mie che mi hanno serbato solo rancori.
Oggi tremo. Tremano le membra e ad esse chiedo clemenza. Ma ancor’più invoco clemenza al cuore e alla mente. Essi non mi danno pace.
Non ho vissuto infanzia. Fui, a quindici anni ,scaraventato tra gli attrezzi di una fabbrica.
Portavo la paga a mia madre e ad essa rendevo ogni sforzo del giorno.
Tornavo , di sera ,al mio letto e cercavo ristoro.
Ma non lo trovavo , scendevo per strada e lì ho avuto la mia famiglia.
Troppo giovane m’hanno fatto padre. Da un’ora all’altra. Come la bambina diventa donna.
“Sei padre!” m’hanno detto. Per me è risuonato come imperativo straziante e tu hai dovuto cercare altrove ciò che la mia inerzia ti ha negato.
Ora sono seduto alla mia poltrona e ripenso a questa vita e alle altre. Alle altre non vissute. E cerco ragione della loro inesistenza. Frugo nelle mie tasche ma non trovo che alibi.
Mi hanno fatto padre quando non volevo e tu figlio. Ma a te non era data scelta.
Non ho donato che frustrazione. E a voi e alla madre ho negato anche l’ultima speranza. Nella vecchiaia non le ho concesso serenità ,le ho sottratto il braccio ed è rimasta sola. Ora non posso fare altro che piegarmi sulle ginocchia, chiudere i palmi e piangere.
Le urla di un tempo hanno oggi un’eco grottesca. Non sortiscono effetto se non quello di torturare le speranze di questo bambino fatto padre.
Invoco, di notte e al buio , il tuo nome. Ma nessuno risponde.
Svegliami, figlio mio. Svegliami alla fine di quest’incubo. Non l’ho voluto.
Svegliami prima che l’orgoglio te lo impedisca. Prima che si annebbi l’ultima possibilità.
Svegliami prima che arrivi un anno nuovo , perché sarà un tempo nuovo e i tuoi ricordi potrebbero esse affievoliti.
Svegliami , perche non ho la forza di svegliarmi.
Non ti chiedo perdono.
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