Ieri ho incontrato Ida.
Ida ha novantadue anni, è veneta, trapiantata a Voghera.
A diciotto anni è emigrata in Germania, li ha imparato il tedesco in poco più di un mese. In una settimana sapeva contare fino a mille. Quando me lo racconta le brillano gli occhi.
"In Germania avevo un ragazzetto mica male!" esordisce Ida.
Oggi vive nel pieno dormitorio dei Milanesi. In un piccolo condominio al piano rialzato , in una casa deliziosa. Ci sono gingilli ovunque. Le pareti fanno fatica a sostenere le decine di foto.
Dopo mezz'ora di conversazione si alza dal divano con la tapezeria a fiori e mi prende sotto braccio per condurmi nella sala da pranzo. Mi mostra le foto del marito e si commuove. È morto da una decina d'anni ma lei non s'è mai rassegnata. Infatti le lacrime iniziano a rigarle il volto. Io mi allontano, come sempre in questi casi, come sempre quando qualcuno piange. Non sopporto l'idea che qualcuno possa piangermi accanto, inizio a tremare e le braccia si irrigidiscono. Penso di essere allergico al pianto.
Mia nonna siede su una poltrona di pelle e beve una tazza d'orzo. Chiede a Ida di recitarmi qualcosa.
Recitarmi qualcosa? Ida è attrice?
Il volto bianco arrossisce, le sue guamciotte si confidano in un'espressione di gioia. Mi guarda in cerca di consenso. Io accenno col capo.
Scopro che Ida scrive poesie.
Ne scrive per ogni occasione, prevalentemente in rima ma non disdegna i versi liberi. Scrive a mano ma mi confessa nell'orecchio che ha imparato ad usare il computer.
Ida è una straordinaria cuoca. Le chiedo da chi abbia imparato. Lei mi guarda dritto negli occhi ma non accenna risposta. Si avvicina e posa le sue mani nodose sulle mie spalle.
" Da nessuno caro, avrei voluto imparare dalla mamma , avrei tanto voluto ma l'ho persa quando avevo cinque anni". Fa per tornare a sedere ma si arresta appena le pantofole toccano il tappeto. Senza voltarsi sussurra "Se avete una mamma , adoratela. Lo dicevo sempre al mio Paolo ( Paolo, suo figlio, è un noto ingegnere milanese, parla sei lingue e lavora per l'Unione Europea, è l'emblema dell'eccellenza italiana all'estero, l'espressione di quell'ascensore sociale che ha smesso di funzionare) ama la tua mamma, adorala".
Quando mi lascio alle spalle la porta del suo appartamento avverto un peso a gravarmi il torace. Sono confuso. Ho dovuto percorrere mezza Italia perché una donnina novantaduenne mi dicesse di amare mia madre.
Nella tasca destra conservo un foglio a righi. Ci sono dei versi, liberi.
Ada era una bimba bellissima. A tre anni doveva già portare gli occhiali. I capelli nerissimi erano ricci e crespi. Molto più di quanto non siano oggi.
Ada è nata con la sindrome di Down. I genitori lo hanno scoperto al suo secondo compleanno.
Quando rincaso è seduta sul divano bianco del salone. Ha in braccio l'inseparabile pupazzo di Minnie, mia zia le spazzola i capelli. Oggi ha ventidue anni.
Appena l'arrosto è pronto sediamo per la cena, tutti tranne Ada.
Lei rimane in salone, tra il divano e la porta finestra.
Passano pochi minuti e le sue fragorose risate invadono l'intera casa.
Ogni sera Ada aspetta la Luna alla finestra, aspetta la sua comparsa e la saluta ridendo. Ride per minuti interi, mi hanno raccontato, a volte per ore guardandola. Stasera , però Ada compare in cucina a metà spettacolo , quando la Luna è ancora alta e lei potrebbe rimanere lì ad ammirarae e sorriderle. Mi piomba incontro strattonandomi un braccio, vuole che vada con lei. Un pó intimorito la seguo. Mi conduce alla finestra e indica la Luna.
Mi fissa dritto negli occhi , ride e sembra chiedersi perchè io non rida con lei.
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