martedì 7 dicembre 2010

Lirica

Del nulla si sazia il sospir’ eterno in cui immersa giace la creatura
ch’a se mi tenne nel tempo e che amministrò mortal saccenza
,nella sua peritur presenza .

M’assimila natura nel distempo della dipartita,
e investe l’immobil’fattore ,che me e fratelli miei fece sua fattura,
del divin prodigio per cui caro refà verbo a quiescenza imperitura.

Come in candido silenzio, avvolto d’ immortal essenza,
mi libro nel sospir d’un vento che non sento,
ne’ per suon’ ne’ per presenza d’alitar sì lento.

Giaccio nell’acque non profonde del mar nella tempesta,
m’udir ne’posso lo sferragliar dell’onde,
intorpidito dalla flebìl coscienza ,che mea inimica ,ansia d’esister’profonde.

Fanciullo assopito tra braccia materne mi congedo,
torno al materno grembo che generato m’avea,
fluttuo nella sustanza che come gentil drappo m’avvolge e che d’eterno risplendea.

Nel sonno m’abbandono e la peritur presenza ,
nel momento che umana saccenza che definir nole,
sfaldasi nell’abbaglio dell’eterno ch’essa lambir vole.

Da carne a carne ,il sangue si fà spirto, l’umana mente
la sua sapienza disigilla e alla perfetta onniscienza ch’avvolge l’orbe cristallina
sé rende adempiendo profezia che nè sa nè rimembra memoria sibillina

Vedo il sangue del Cristo bagnar la madre terra,
il legno della croce scheggiar la mia inessenza,
crollar gli altari e disfarsi i templi.

Vedo le nude stirpi insanguinate,ferite e lacerate,
i re e gli imperator trascinar la lurida catena che l’pett’avvinghia,
e papi e potenti e uomini saccenti.

Tutti della medesima povere coverti, e del pal della divina croce trafitti,
e dalla vita ammazzati e dalla morte salvati,
rantolano dilaniati da piaghe etterne .

Soffoco nella polvere dell’inesistenza , mi sconquasso nella carnal presenza,
m’assale il rimorso e mi pervade l’attesa,
e da sotto l’onde la luce m’abbaglia.

Vedo lontana la terra natia, bacio la polvere da cui generato fui,
e nell’estasi della vita vera mi pervade la crudel coscienza del male
e dell’ abbietto e del dolor e del nullo piacer in cui consumato mi fui.

E nella vita vera e nel vero amor e nella real essenza della crudel esistenza
com agnello immolato sento sgorgar il sangue caldo, e vedo l’altri miei fratelli
libar di esso, e vedo l’acque ch’or scarlatte non rivelan più la bontà divina.

Oh pietosa ingordigia, o pusillanime arroganza che m’amministrasti,
se il Divin Fattor’ me lo concedesse a te tornerei per terger
col tuo sangue i peccati miei.

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